Anche Rende, tra i comuni che hanno indirizzato una lettera al Presidente Mattarella in merito al disegno di legge sull’autonomia differenziata.
La città di Rende è stata, infatti, tra le prime amministrazioni comunali ad aver aderito alla Rete Sindaci “Recovery Sud” nata nel 2019 dalla volontà, inizialmente, di cinquanta sindaci del Sud d’Italia di unirsi per fare fronte comune in merito alle risorse del PNRR.
“Nel Recovery Plan, l’Unione Europea aveva destinato all’Italia 110 miliardi di euro in più rispetto ad altri paesi membri, con lo scopo esplicito di colmare i divari particolarmente accentuati in Italia, ovvero: il divario Nord/Sud, l’occupazione femminile e la disoccupazione giovanile. Questo si sarebbe dovuto tradurre nella distribuzione dei fondi PNRR con il 60-70% destinati al Sud, diventati poi il 40%, nell’interpretazione dell’allora ministra per la coesione territoriale, Mara Carfagna, la quale comunque si era spesa per il principio di perequazione”, ha spiegato l’assessora Marta Petrusewicz.
“La proposta dell’Autonomia Differenziata nasce in contemporanea con il dibattito sulla ripartizione dei fondi del PNRR. In sostanza, le tre regioni promotrici – Lombardia, Veneto e Emilia Romagna (due leghiste e una PD) – chiedono di poter disporre per se stesse di tutto il gettito fiscale prodotto sul territorio. E’ quella proposta che Gianfranco Viesti descrisse, giustamente, in termini della “secessione dei ricchi”. Con l’avvento del governo Meloni, e il leghista doc Roberto Calderoli alla guida del Ministero rinominato “per gli affari regionali e le autonomie”, la proposta della riforma sulle autonomie differenziate è tornata prepotentemente. Da qui l’azione risoluta della rete dei sindaci del Sud e il nostro nuovo appello, questa volta non al governo ostile, ma al capo dello Stato, in quanto garante del rispetto della Carta costituzionale. Il diritto alle cure, istruzione e infrastrutture uguali è, infatti, garantito dalla Costituzione e l’articolo 3 affida esplicitamente allo Stato il dovere di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini. E sono proprio queste tre aree – sanità, istruzione e infrastrutture – dove l’autonomia differenziata arrecherebbe dei danni irreparabili nelle regioni meridionali”, ha proseguito Petrusewicz.
“La Lombardia da sola produce il 22% del Pil nazionale, ovvero quanto l’intero meridione, insieme a Veneto e Emilia-Romagna si arriva al 40%. L’Italia è il caso estremo, ma non l’unico in Europa. Tuttavia, in Germania, in Spagna, nel Regno Unito e in altri paesi europei la ripartizione del gettito fiscale obbedisce a dei criteri di perequazione a livello nazionale, ovvero uguali diritti per i cittadini a prescindere dalla regione di appartenenza e da quanto gettito fiscale si produca. Se il Parlamento dovesse approvare il progetto di Autonomia Differenziata, i trasferimenti pubblici verso il Mezzogiorno calerebbero in maniera drammatica, aumentando notevolmente le distanze che l’Europa ci chiede di ridurre, su indicatori quali la mortalità infantile, la diversa aspettativa di vita (minore di 3,7 per un bambino di Caltanissetta rispetto a un coetaneo di Firenze), il ricorso a cure mediche fuori regione, il tasso di disoccupazione, l’emigrazione intellettuale, la dotazione infrastrutturale, l’occupazione femminile, la qualità del sistema scolastico e universitario”, ha affermato l’assessora.
“Il progetto dell’Autonomia Differenziata sta minacciando seriamente l’unità nazionale, sostituendo l’egoismo regionale alla coesione nazionale ritenuta sacrosanta da centosettant’anni. Esso crea presupposti per risentimenti che possono facilmente sfociare in rivolte, anche sanguinose. Il discorso dell’autonomia differenziata non è solo glorificazione dell’egoismo ma è esplicitamente razzista. I termini del “merito” e “operosità” riportano al dibattito ottocentesco su deserving poor: i poveri non sono meritevoli perché non sono operosi, altrimenti, non sarebbero poveri. Ritornano a galla tutti gli stereotipi sui meridionali: clientelari, familisti, incapaci, inefficienti, aspiranti solo all’assistenzialismo, con le amministrazioni municipali e regionali incapaci, sprecone e sempre colluse con le mafie. La Rete di sindaci “Recovery Sud”, per la prima volta nella storia d’Italia, richiamando il movimento municipale degli anni ‘90 noto come la “primavera dei sindaci”, sta riunendo amministratori del Mezzogiorno decisi a promuovere un’azione congiunta per il superamento degli storici divari, affermando il valore della coesione nazionale e proponendo soluzioni a partire da un confronto fondato su un’analisi più puntuale dei bisogni dei nostri territori”, ha concluso l’assessora alla cultura.