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Il mondo dell’arte scende in campo e si riorganizza in un inaspettato “noi”: nascerà a Cosenza una grande Fondazione di imprese culturali

di Roberta Mazzuca – Risuona forte e vigoroso, tra le sale ormai spente e silenziose del Teatro Rendano di Cosenza, l’implicito grido di protesta, l’assordante voglia di rivalsa, di gran parte del mondo artistico cittadino, riunitosi ieri nella Sala Quintieri del Teatro. A convocare i vari rappresentanti della cultura, dell’arte, del teatro, e dell’associazionismo, in qualità di “delegato alle scelte di programmazione indirizzate a rilanciare e valorizzare il Teatro di Tradizione A. Rendano”, Fabio Gallo che, ormai da mesi, si batte per fare chiarezza su quella serie di intrighi, di non detti e di incongruenze racchiuse nel da noi ribattezzato “caso Rendano”. Una battaglia contro la mancata trasparenza, contro i silenzi, e contro una gestione che pare preservi, dall’interno, interessi e affari che a nessuno è dato conoscere. “Il mio obiettivo è ripristinare la trasparenza e la legalità all’interno del mondo della cultura, non perché qualcuno stia visibilmente sottraendo qualcosa a qualcun’altro, non visibilmente almeno, ma perché i dati di fatto stanno conclamando una situazione che deve essere posta al centro dell’attenzione di coloro i quali hanno responsabilità anche politiche. Io vi ascolto, e a volte vivo sentimenti di impotenza, perché nonostante una delega prestigiosissima che altrove mi avrebbe permesso di fare tantissimo, stranamente qui non riesco a fare nulla”.

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Tra i problemi principali, l’impossibilità da parte degli operatori di arte e cultura di riuscire ad entrare in teatro, perfino ad interloquire con chi di dovere. Molti, ci dicono gli stessi artisti, prenotano per poi, a pochi giorni dalle performances, vedere le proprie prenotazioni annullate senza alcuna ragionevole motivazione. Lamenti che Fabio Gallo riceve quotidianamente, e per i quali, di fronte all’indifferenza e al silenzio con cui si trova da mesi a scontrarsi, propone adesso una soluzione indipendente: creare una Fondazione di partecipazione, un consorzio di imprese, uno strumento che, insomma, sia più potente del Teatro stesso. “Questo sistema non funziona” – spiega Gallo alla platea. “Se noi cerchiamo di rianimare un morto, perdiamo solo tempo. E allora dobbiamo creare un nuovo strumento giuridico che venga riconosciuto dal Ministero dei Beni culturali e dalla Regione, e anche dagli sponsor di un certo livello, come lo strumento del mondo della cultura, dell’arte, del teatro, del designer, dello spettacolo. Potremo finalmente essere riconosciuti dallo Stato come un soggetto che può essere finanziato direttamente (ex Art.7)”.

“Continuare in un estenuante lamento oppure praticare il bene del nostro settore?”. Questa la domanda che Gallo ha principalmente posto ai presenti, riscontrando in loro una risposta positiva e una gran voglia di riappropriarsi dei propri diritti e del proprio destino. Insieme. Perché è questo il punto chiave dell’incontro svoltosi ieri: per la prima volta l’intera autorità della cultura si è riunita e organizzata in comunità, non più individualmente, diventando un “noi” pronto a smuovere il mondo politico e sociale con il proprio amore per l’arte e per la cultura. Fare rete, dunque, ed organizzarsi, precisamente, in una Fondazione di partecipazione, come spiega Eleonora Cafiero: “Nella Fondazione entrano tutti gli enti, figure giuridiche, ma la particolarità è che può entrare anche un ente pubblico, che può essere il Comune o anche il Ministero stesso. Questo ci consente di avere le stesse possibilità di un ente pubblico nella richiesta dei fondi”.

“Credo che sia la prima proposta nobile che sento da parecchi anni. Tocca a noi scegliere se restare a guardare o unirci e combattere” – afferma Concetta Barillaro, ballerina e maestra di danza. “La prima volta, questa, in cui mi trovo davanti a un uomo che indice una riunione con tutto il mondo della cultura. Una cosa meravigliosa che ci dà speranza” – afferma ancora Luca Di Pierno, che presto inaugurerà insieme a Teresa Nardi il “Teatro dei Filiaci”. O, ancora, la giovane Benedetta Infusino: “Io vengo da un paesino, in cui i ragazzi o zappano o spacciano. Vedere tutto questo, Fabio, ci dà molta speranza”. Una risposta positiva, insomma, quella ricevuta, che testimonia come quella cultura che sembrava decisamente morta in città, è in realtà più presente che mai, soffocata da un sistema che non la aiuta, anzi la ostacola, togliendole respiro e anima.

Un teatro, quello del Rendano, che chiaramente non funziona, che chiude a tutti le porte, oramai perfino ai suoi stessi dipendenti. Non è rimasto nessuno, neanche Sonia Pezzi, da decenni dipendente comunale del Teatro Rendano e ora, come ci comunica Gallo, spostata nel Chiostro di San Domenico. Solo un guardiano rimasto in questo luogo oramai inaccessibile perfino agli addetti ai lavori, ultimo baluardo di una speranza che sembrava persa, e che ieri ha rifatto capolino negli occhi e nei volti di tutti i presenti. Anche in quello, pieno di saggezza e amara verità, del maestro Eduardo Tarsia: “È la prima volta che sento parlare di un ‘noi’. Questo è davvero un discorso innovativo, una strada percorribile per tirare l’arte fuori dalla melma”. 

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