«Francesca Albanese non rappresenta la pace né la solidarietà, ma l’ipocrisia di un sistema internazionale che da anni vive di conflitti e di finanziamenti. È la rappresentante perfetta di una macchina politico-burocratica che si alimenta del dramma del Medio Oriente per perpetuare se stessa. Il suo ruolo all’ONU non è neutrale, né indipendente essendo sposata con un economista della Banca Mondiale, già consulente del Ministero dell’Economia palestinese con interessi economici legati ai flussi di denaro internazionale verso l’Autorità Palestinese
«L’Albanese attacca Israele con un linguaggio ideologico e pregiudiziale, ignorando i crimini di Hamas e di chi usa i civili come scudi umani. È la stessa retorica che alimenta le manifestazioni in Europa, promosse da sindacati e movimenti estremisti, che trasformano l’odio in attivismo politico.»
«A completare questo quadro c’è un episodio che dice più di mille parole. In diretta su La7, durante la trasmissione In Onda, nel momento in cui veniva pronunciato il nome della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, la Albanese si è alzata di scatto ed è uscita dallo studio senza neppure salutare. Un gesto che molti hanno letto come un atto di mancanza di rispetto verso una testimone della Shoah e della memoria storica europea. Non un dettaglio di galateo televisivo, ma un segnale profondo di arroganza ideologica.»
«Il suo atteggiamento non è solo ideologico, ma anche ostile verso chi lavora realmente per la pace.
Nelle ultime settimane, l’Albanese ha criticato duramente il piano di pace proposto da Donald Trump e Benjamin Netanyahu, definendolo “un insulto alla vita e alla dignità umana”.
Una posizione che rivela quanto sia lontana dalla concretezza diplomatica e dall’obiettivo di salvare vite umane.
Quel piano —che mira a stabilizzare i rapporti tra Israele, Arabia Saudita e altri Paesi arabi, creando nuove vie di dialogo economico e di sicurezza — ha evitato nuove escalation e ha già contribuito a salvare migliaia di vite nel Medio Oriente. È una delle iniziative politiche più coraggiose degli ultimi anni, tanto da poter essere considerata una vera candidatura al Premio Nobel per la Pace.»
«Mentre Trump ha chiuso un accordo di pace che prevede investimenti necessari per la stabilità della regione, l’Albanese si diceva “dispiaciuta” che quel piano potesse realizzarsi, perché avrebbe tolto spazio alla sua narrazione di vittimismo e di odio verso Israele. È paradossale che una rappresentante dell’ONU — e per di più italiana — si schieri contro un processo di pacificazione solo perché promosso da chi non rientra nei suoi schemi ideologici.La pace non ha colore politico: richiede coraggio, diplomazia e visione.
E chi davvero opera per la pace, come ha fatto Trump, merita rispetto, non disprezzo. Chi invece fugge davanti a un piano di dialogo, o si alza quando viene nominata Liliana Segre, mostra il volto più triste dell’ideologia: quello dell’arroganza e dell’intolleranza.»
