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Squadre di portuali e un uomo delle Dogane infedeli: così le cosche portavano la cocaina fuori dal porto di Gioia Tauro

di Walter Alberio – “Una vera e propria società di servizi” messa in piedi dalle cosche di ‘ndrangheta del Reggino con la finalità di portare fuori dal porto di Gioia Tauro ingenti quantitativi di cocaina provenienti dal Sudamerica. A scoprire il rodato e minuzioso sistema criminale è stata la Guardia di Finanza, in una operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria.
I dettagli dell’indagine che ha portato a 36 arresti (34 in carcere e 2 ai domiciliari) sono stati illustrati questa mattina, in una conferenza stampa nella sede del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Reggio Calabria.
Come spiegato dal comandante regionale Mario Geremia, l’organizzazione era strutturata in tre livelli. Le principali famiglie di ‘ndrangheta della jonica, grazie al consolidato rapporto con i cartelli sudamericani, si occupavano dell’importazione dello stupefacente. Una volta giunta in porto, sarebbero stati poi gli operai portuali ad occuparsi materialmente del “recupero” della droga e dell’esfiltrazione del container “contaminato”. Questi venivano “istruiti” dai coordinatori delle squadre che pagavano gli operai coinvolti con una commissione pari ad una percentuale del valore del carico (tra il 7 e il 20%).
COSÌ LA DROGA USCIVA DAL PORTO DI GIOIA TAURO. Una complessa sequenza di azioni e una catena di mansioni distribuite ad hoc. Così l’organizzazione contava di eludere i controlli e portare la cocaina fuori dal porto.
Le varie fasi sono state ricostruite dal comandante provinciale delle Fiamme Gialle, Maurizio Cintura.
Secondo quanto emerso dall’indagine, il container con la droga veniva posizionato di fronte al contenitore di uscita, lasciando tra i due solo la distanza necessaria per l’apertura delle porte. In più, un terzo container, denominato “ponte”, veniva adagiato al di sopra degli altri due per schermare anche i controlli dall’alto. Nell’area individuata, poi, giungeva inoltre un quarto container “carico” di operai incaricati al trasferimento dello stupefacente, “protetti” ai lati da complici, di guardia a bordo di due straddle carrier, veicoli usati per la movimentazione dei container.
Terminate le operazioni di “trasbordo” della droga, dal container inquinato a quello “di uscita”, venivano quindi applicati ad essi dei sigilli contraffatti: uno clone per quello proveniente dal Sudamerica, uno fasullo per quello di uscita che sarebbe poi stato ritirato da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dall’organizzazione.
I container potevano prendere così strade diverse.
Sono 14 gli operai portuali coinvolti, i quali avrebbero ricevuto una somma di oltre 7 milioni di euro per far passare la cocaina. 15 le operazioni di spedizione individuate, 4 tonnellate di droga sequestrate e 8 carichi costruiti in tempo reale con sequestro.
Non solo. In un caso è emerso anche il coinvolgimento di un appartenente all’ufficio Antifrode dell’agenzia Dogane e dei Monopoli di Gioia Tauro, il quale avrebbe alterato l’esito di una scansione su un container contenente 300 kg di cocaina. L’uomo, finito in carcere, avrebbe ricevuto dalle cosche una somma pari al 3% del valore di quel carico. Una somma non di poco conto, considerando che “la stima fatta sul valore di un 1 kg di cocaina è di 29mila euro”.
“Questa indagine ha pochi precedenti nella storia giudiziaria”, ha detto il procuratore capo Giovanni Bombardieri, affiancato dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. “Gruppi di operatori portuali erano al servizio di alcune cosche del territorio per l’esfiltrazione di carichi di droga”. Gli operai coinvolti “erano dediti quasi esclusivamente all’attività criminale” ed erano “al servizio delle cosche” della fascia jonica reggina, “dai Piromalli ai Crea, agli Alvaro, Gallico, Ladini, Pedullà”, ma si tratta di “responsabilità di singole persone e non del sistema di Gioia Tauro che rappresenta un’economia legale e sana”, ci ha tenuto ad evidenziare il magistrato. “Piena legittimità del sistema portuale che garantisce agli imprenditori onesti di svolgere un’attività economica sana”.
Le indagini, ha spiegato Bombardieri, “continueranno per verificare quali altri collegamenti ci siano all’interno di queste realtà che hanno consentito un così lungo sviluppo dell’attività illecita”.
La conferenza si è svolta senza le domande e le inteviste della stampa. “Queste sono le regole”, ha commentato brevemente Bombardieri.
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