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“Reggio Calabria nelle mani delle menti più raffinate della ‘Ndrangheta”: nella sentenza del processo ‘Gotha’ l’avvocato De Stefano e l’ex parlamentare Romeo al centro delle influenze degli equilibri mafiosi

Ci sono voluti due anni per condensare in 7.683 pagine la sentenza di primo grado del processo ‘Gotha’. Un lavoro immane, sottoscritto dalla presidente del Collegio del Tribunale di Reggio Calabria, Silvia Capone, e dai giudici a latere Andreina Mazzariello e Stefania Ciervo, che ha convalidato l’ipotesi della Procura distrettuale antimafia, guidata da Giovanni Bombardieri, secondo cui Reggio Calabria sarebbe nella mani di “menti piu’ raffinate della ‘Ndrangheta” in grado di rendere piu’ riservato il fenomeno criminale, un organismo composito dove convivono, in nome degli ‘affari’, elementi deviati dello Stato, massonerie spurie e ‘ndranghetisti battezzati.

Dei trenta processati con il rito ordinario, 15 sono stati assolti dall’avere concorso alle ‘politiche’ della sovrastruttura, in molti casi per non avere commesso il fatto: sono in buona parte noti professionisti, rimasti alla sbarra per cinque anni, con ipotesi accusatorie come il concorso esterno in associazione mafiosa e di fare parte di un’associazione segreta, una sorta di ‘gabinetto di compensazione’ capace di mediare le insorgenze sulle spartizioni della spesa pubblica e di programmare, con la formazione di cosiddette ‘liste civiche’ il condizionamento della vita istituzionale degli enti locali, il Comune e la Provincia di Reggio Calabria. Cinque anni di dibattimenti in cui sono stati sentiti una decina di collaboratori di giustizia, da Nino Lo Giudice, a Paolo Ianno’, ad Antonio Liuzzo, Nino Fiume, Mario Chindemi, Consolato Villani, portati in aula dal Procuratore aggiunto della Repubblica, Giuseppe Lombardo, per raccontare le loro conoscenze sulla ‘Ndrangheta reggina dominata dalle cosche De Stefano, Tegano, Condello, Libri, Serraino e le cosche satelliti, il ‘Ghota’ della ‘Ndrangheta calabrese e nazionale.

I giudici, inoltre, hanno evidenziato i cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni, dalla conclusione della seconda guerra di mafia innescata il 10 ottobre 1985 con l’omicidio del boss Paolo De Stefano da parte degli ‘scissionisti’ capeggiati dagli Imerti-Condello, il cui armistizio, secondo gli inquirenti, data il 9 Agosto del 1991, giorno dell’uccisione del giudice Antonino Scopelliti.

Il processo ha riunito le inchieste ‘Mammasantissima’, ‘Reghion’, ‘Fata Morgana’, ‘Alchemia’ e ‘Sistema Reggio’, centinaia di faldoni e migliaia di pagine di verbali, che hanno permesso ai giudici di individuare e cucire la linea comune delle azioni della ‘Ndrangheta a Reggio Calabria, l’atteggiamento ‘unitario’ e sommerso, per evitare l’attenzione degli investigatori. La sentenza individua negli avvocati Giorgio De Stefano, condannato in secondo grado con il rito abbreviato a 15 anni e quattro mesi di reclusione, e Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi, condannato a 25 anni di reclusione in primo grado, come le persone in grado di influenzare gli equilibri mafiosi a Reggio Calabria, e di frenare l’esplodere di potenziali conflitti tra le cosche cittadine.

Una metamorfosi profonda, quella che ha segnato la ‘Ndrangheta reggina negli ultimi trent’anni, un inabissamento obbligato dall’incalzare delle indagini, che ha garantito affari lucrosi senza inutile spargimento di sangue, grazie anche alla rigida organizzazione che ha impedito i contatti diretti tra il cosiddetto ‘livello militare’ e i ‘riservati’. Nella sentenza del Tribunale di Reggio Calabria, si evidenzia, infine, la commistione tra “una parte dello Stato, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei servizi segreti, la cosiddetta ‘Zona Grigia’, e il ‘Sistema’, per “assicurare apparenti successi nelle iniziative di contrasto alla criminalita’ organizzata e alla cattura di latitanti”, uno ‘scambio ineguale’ per favorire la eliminazione di avversari senza spargimenti di sangue, accrescendo l’ambiguita’ di quel rapporto che ha reso labili i confini tra apparati criminali e rappresentanti dello Stato.

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