di Alfredo Muscatello – Della GSF provo un forte rispetto. Perché scegliere di intraprendere un viaggio così rischioso non è un atto leggero: significa aprire un canale di conoscenza, di coscienza, di resistenza e di rivoluzione. È lo stesso sentimento che ricordo da studente, quando scoprivo la storia dei partigiani e restavo colpito dal loro coraggio e dalla loro idea di giustizia. Da allora ho imparato a riconoscere la forza di chi, con gesti concreti e spesso scomodi, prova a restituire dignità a chi non ce l’ha più.
C’è un canto partigiano che mi ritorna alla memoria quando osservo la cronaca di questi giorni. Raccontava di tedeschi in ginocchio a chiedere pietà e di fascisti travestiti da preti, pronti a scappare di qua e di là. Non era solo una canzone di montagna: era la fotografia di un’epoca, di un potere che nel momento del crollo tentava di salvarsi con il travestimento, con la menzogna. Oggi, guardando alla Palestina, quella stessa immagine sembra riproporsi. Dopo mesi di negazioni, silenzi e complicità, molti giornalisti e politici, travolti dall’evidenza dei fatti, sono costretti a riconoscere il problema. Lo fanno con trasformismo: un linguaggio che tenta di tenere insieme il passato delle certezze gridate e il presente che non lascia più scappatoie. Vorrebbero salvarsi senza esporsi, adattandosi come serpi, cercando rifugio in una formula neutra che non scontenti nessuno.
E poi ci sono i più pavidi, quelli che ostinatamente difendono l’indifendibile: Meloni, Salvini, Tajani, Crosetto. Figure che davanti a un dramma umano continuano a muoversi come se fosse solo una questione di equilibrio geopolitico o di convenienza elettorale. Restano aggrappati a slogan vuoti, incapaci di un respiro più alto. Intellettualmente nani, politicamente vigliacchi.
La differenza con la stagione partigiana è che allora la memoria si costruiva lentamente, e i racconti arrivavano dopo, quando i protagonisti erano ormai vecchi. Oggi invece la testimonianza è immediata: immagini, rapporti, voci dal campo circolano in tempo reale. Nessuno potrà dire “non sapevo”. Ognuno resterà segnato dalla posizione che ha scelto di assumere. E quando questa stagione passerà, quando i muri delle narrazioni cadranno, scopriremo chi erano i “fascisti travestiti da preti” della nostra epoca. Saranno ricordati non per la loro forza, ma per la loro viltà.
Ma come accadde allora, dovremo essere pronti alla consapevolezza che la storia ci mostrerà ancora parti oscure. Eppure, proprio come allora, resterà anche la certezza che la giustizia troverà la sua voce.