“Ma è meglio poi, un giorno solo da ricordare che ricadere in una nuova realtà sempre identica” (Francesco Guccini, Scirocco -
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Sventurata la terra che ha bisogno di eroi

di Claudio Cordova – Non c’è niente di cui essere soddisfatti. C’è, anzi, solo da esser tristi. Per l’ennesimo scandalo che coinvolge Reggio Calabria. Per una città che, ancora una volta, si è fatta ingannare. Ha dato un credito smisurato a un imprenditore, Luca Gallo, che alcuni anni fa, da (ricchissimo) semisconosciuto ha rilevato la Reggina dalla famiglia Praticò che, invece, forse un po’ troppo ingenerosamente, era stata messa sulla graticola, nonostante avesse salvato il calcio amaranto dal fallimento.

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Ora Gallo rischia una fine ingloriosa. Dopo aver annunciato, in pompa magna, la sua volontà di far grande la Reggina, chiude con un campionato di serie B vissuto in maniera anonima. Ma chiude la stagione, soprattutto, agli arresti domiciliari, per reati economici che avrebbero coinvolto anche la Reggina.  A colpirlo è un’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma, che, fortunatamente, non è la Procura della Repubblica di Reggio Calabria. E, quindi, ha acceso i riflettori sugli affari dell’imprenditore cosentino ma dalla parlata romanaccia, partendo da rilievi di tipo fiscale, per arrivare, infine, alle contestazioni di natura penale.

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Per chi scrive non c’è niente di nuovo. Da anni, infatti, Il Dispaccio denuncia il modo sospetto con cui le aziende di Gallo avrebbero somministrato lavoro interinale in tutta Italia. Lavoro, già. Definito così per brevità e semplicità. Perché quello di Gallo e delle sue aziende sarebbe tutto tranne quello – il Lavoro – sancito dalla nostra Costituzione. Manodopera trattata non come persone ed esseri umani, ma come carne da macello da sfruttare. Senza garanzie, senza contributi versati.

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Ecco, se c’è un’amarezza è quella che nelle carte d’indagine si menzionino solo i presunti illeciti ai danni dello Stato. E non quanta sofferenza quel tipo di attività possa aver disseminato in giro per l’Italia, soprattutto in questo periodo storico. Lo scriviamo da anni, dati alla mano. Talvolta facendo parlare anche le vittime di questo sistema. In cambio abbiamo ricevuto minacce di querele da Gallo e dalla Reggina. Ma, soprattutto, tanti insulti, tanto disprezzo, da parte di tifosi che, ancor prima di essere ultras, sono cittadini e dovrebbero avere maggiori capacità di vedere la realtà, anche se spiacevole.

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Ma con l’arresto di Gallo cade anche un velo. Perché in tutti questi anni, la difesa dei fedayyin di Gallo è stata sì la sciocca presunzione di non credere ad atti dell’Ispettorato del lavoro, a interrogazioni parlamentari, a testimonianze. Ma anche il fatto che, anche qualora le contestazioni al mitico presidente fossero state vere (e, ovviamente, per loro, non lo erano) la Reggina non c’entrava nulla. E invece la Reggina c’entrava, eccome. Gallo l’avrebbe acquistata con i soldi che, invece, avrebbe dovuto corrispondere all’Erario.

E quindi allo Stato.

E quindi a tutti noi.

Si è colpevolmente sottovalutato il fatto che raccontare delle presunte irregolarità di Gallo non era per noi un ragionamento da fanatici. E nemmeno l’ossequio a chissà quale ordine esterno. Siamo gli stessi che abbiamo scritto, senza infingimenti, su Lillo Foti. E siamo gli stessi che vengono indicati come i responsabili della “fuga” dell’opaco imprenditore italo-australiano Nick Scali, che per un determinato periodo sembrava intenzionato ad acquisire la Reggina.

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Si è colpevolmente sottovalutato che Gallo non aveva acquistato la Reggina per chissà quale amore verso i colori amaranti e la città. Ma per ragioni economiche. Che, a detta degli inquirenti, sarebbero state anche illecite. La Reggina, infatti, gli sarebbe servita per riciclare il denaro che, invece, avrebbe dovuto corrispondere alle casse dello Stato. La Guardia di Finanza e la magistratura parlano di un vero e proprio sistema.

No, non proviamo alcuna soddisfazione quanto accaduto. La vera soddisfazione la proviamo nel raccontare quando i protagonisti dei nostri articoli sono potenti. Lo abbiamo fatto con la politica, con la ‘ndrangheta e con la magistratura. Sempre nella nostra solita, beata, solitudine. Mentre (quasi) tutti gli altri applaudivano. No, non c’è alcuna soddisfazione nell’infierire quando qualcuno cade in bassa fortuna. Che la Reggina di Luca Gallo potesse finire male era facilmente intuibile da chiunque abbia un quoziente intellettivo appena superiore a quello di una scimmia. Ma oggi non fornisce alcuna soddisfazione aver visto giusto.

Predomina, invece, la tristezza. Perché Reggio Calabria si è fatta ingannare. Ha scelto di idolatrare un uomo che, fin da subito, ha dimostrato eccessi particolari. Che ha taciuto, fino agli ultimi mesi, le problematiche economiche: appena pochi mesi fa, infatti, aveva subito un sequestro da quasi 7 milioni di euro che, probabilmente, avranno anche inciso sullo stato finanziario della Reggina. Che adesso preoccupa non poco. Perché mancano pochi giorni ad alcune scadenze e l’incubo di Gallo potrebbe diventare l’incubo della Reggina.

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Eppure Reggio Calabria, i suoi tifosi, i suoi cittadini, hanno continuato a trattarlo come una celebrità. Si preferiva una foto con lui, anziché uno scatto con Denis, Menez, Galabinov o Montalto. Caso più unico che raro che un presidente fosse più ricercato dei calciatori.

Che utili idioti alcuni reggini!

E poi c’è la politica che, con una mossa di un populismo becero, ha repentinamente cavalcato l’entusiasmo generale per conferire (non si capisce bene in base a quali meriti) la cittadinanza onoraria a Luca Gallo. Quando tutti erano convinti che a Reggio Calabria il nostro sceicco non proveniva da Dubai, ma dal Cosentino. Ma parlando romanaccio.

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