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Dipendenti licenziati e riassunti in appalto: condannata l’azienda del presidente della Reggina, Luca Gallo

Gallonuova“La M&G Holding è una società che offre servizi in appalto per le aziende”, si legge sul sito di una delle società facenti capo al presidente della Reggina Luca Gallo. Una descrizione che fa sorridere se si pensa che ad essere licenziati e riassunti “in appalto” pare siano stati i suoi stessi dipendenti. Più precisamente, quelli della coop M&G a Bologna, oggi in liquidazione (e, chissà come, il liquidatore è ancora Luca Gallo), condannata a pagare 1,2 milioni dal Tribunale del Lavoro, che confermato, in primo grado, le sanzioni mosse dall’Ispettorato a carico del gruppo romano M&G che la controllava.

A darne notizia, il quotidiano “La Repubblica”, nella sua edizione di Bologna, con un articolo a firma di Marco Bettazzi.

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80 le imprese bolognesi coinvolte affidatesi al gruppo, che hanno dovuto pagare dai 5 ai 50mila euro ciascuna. A far scoppiare il caso tra il 2017 e il 2019 una denuncia della Uil in cui i lavoratori riferivano al sindacato una serie di vere e proprie irregolarità: buste paga anomale, Tfr o contributi non versati, dimissioni e poi riassunzioni nelle stesse aziende. Dai loro racconti emergeva un’attività sospetta di una decina di società tutte riconducibili al gruppo romano M&G, guidato, per l’appunto, dal patron della Reggina calcio Luca Gallo: M&G Company, M&G Enterprise, M&G Group, M&G Co Service o M&G Holding.

Un meccanismo fatto di contributi non versati, lavoro in nero, e un’attività di intermediazione di manodopera vietata dalla legge. Come raccontato più volte dal Dispaccio e anche ieri (leggi qui). Un meccanismo che trasforma lavoro in sfruttamento, che calpesta i diritti, che opera sottobanco, nell’ombra, per vie traverse e atti irregolari. Un meccanismo finito già da tempo nel mirino dell’Ispettorato del Lavoro, e non solo in Emilia Romagna. Un meccanismo a cui, perlomeno a Bologna, pare sia stato messo un punto.

Nell’articolo di Repubblica firmato da Marco Bettazzi si legge, infatti, che “la giudice Chiara Zompì il 3 marzo ha respinto le obiezioni della M&G Coop Multiservizi, una delle tante società del gruppo, sottolineando che grazie alle testimonianze dei lavoratori è accertato che molti di loro siano stati impiegati “in nero” per giorni o settimane, senza cioè dichiarare o dichiarando solo in parte il contratto in essere. E soprattutto confermando le accuse sull’intermediazione di manodopera: i lavoratori forniti da M&G, infatti, non erano guidati come prevede la legge dalla M&G, ma erano alle dirette dipendenze dell’azienda cliente, che in qualche caso indicava alla cooperativa il lavoratore da assumere, o addirittura faceva dimettere e poi rientrare dalla finestra lo stesso lavoratore. Nessun responsabile di M&G operava concretamente nelle imprese clienti, e in alcuni casi gli assunti non avevano nemmeno mai incontrato nessuno del gruppo romano”.

Una sentenza che condanna a pagare chi, ad oggi, si è sempre rifiutato, al contrario delle 80 aziende clienti bolognesi che non si sono opposte. Una sentenza simile ad alcune emesse in altre zone d’Italia, e che riporta a galla una modalità di azione con cui le aziende della galassia M&G operano da tempo, tanto da aver interessato anche due interrogazioni al Ministero del Lavoro tra il luglio 2020 e la fine dello stesso anno (leggi qui l’inchiesta del Dispaccio). Intanto, non risultano più attività del gruppo M&G su Bologna che, casualmente, ha cambiato nome più volte.

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