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Polemica per il panino denominato “U Ghiegghiu”, la risposta di ‘Mi’Ndujo’: “Con l’ironia vinceremo tabù e pregiudizi”

E’ polemica per il nome dato dalla catena calabrese di fast food Mi’Ndujo a un panino. A sollevarla, tramite i propri canali social, è stato Pietro Lanza, sacerdote dell’eparchia di Lungro, criticando la denominazione di “u ghiegghiu”, termine considerato dispregiativo per individuare gli appartenenti alla comunità arbereshe: “Non possiamo avere un panino Mi nduio denominato ‘u ghiegghiu’ che si prefigge di rappresentare il patrimonio identitario e la presenza Arbëreshe in Calabria. È semplicemente offensivo. Eleviamo – scrive – la nostra protesta e chiediamo a chi ha avuto l’infelice idea di ritirarla. La nostra identità non si può racchiudere in un panino e in un termine ancor oggi usato in modo dispregiativo”.

In queste ore, è arrivata la risposta della catena di fast food: “Uno dei più seguiti artisti italiani a tutto tondo, Checco Zalone, attore e regista di alcuni dei film che hanno fatto registrare più incassi al cinema, ha fatto ridere e sorridere il Paese intero su temi attuali, complessi e delicati. E lo ha fatto mettendo al bando la pesantezza pseudo-culturale, laica o religiosa, intellettuale o bigotta, di quanti, quei temi ma non solo quelli hanno trattato e maltrattato da sempre con il linguaggio noioso, incomprensibile e triste dei tabù o delle élite. Sul piccolo e grande schermo Zalone ha sconfessato perbenismo, censori e soloni, riuscendo ad entrare nel cuore vivo di problemi seri e gravi, parlando il linguaggio universale e millenario dell’ironia, dell’auto-ironia e del divertimento (dal latino divertere, volgere altrove, in direzione opposta, deviare, distraendo l’animo da cure e pensieri molesti).

 

E se non hanno offeso e scandalizzato nessuno le battute ed il gergo nazional-popolare di Zalone al quale non vogliamo minimamente paragonarci, toccando ed unendo tutti col e nel sorriso su temi di stringente attualità, così come nessun calabrese si è mai sentito offeso, anzi, dallo striscione con la scritta Terroni di Calabria col quale qualche anno fa abbiamo inaugurato le nostre sedi a Roma, onestamente non vediamo – fa sapere il management di Mi ‘Ndujo – come e perché possa e debba sentirsi addirittura offesa la grande e gloriosa comunità arbëreshe per un progetto di panino al quale, così come ci siamo da sempre caratterizzati, abbiamo proposto di dare un nome ironico, auto-ironico, divertente, incuriosente e che da oltre 7 secoli non offende nessuno, ma proprio nessuno.

 

A quanti, siamo sicuri per un abbaglio affrettato o indotto per altre motivazioni, hanno pensato di alzare un polverone sul nulla, rivolgiamo l’invito affettuoso a rasserenarsi ed a mettere da parte pregiudizi e tabù, abbeverandosi alla fonte inesauribile dell’ironia che, come scriveva Kierkegaard, è la via, non è la verità, ma la via; è come un mare in cui ci si tuffa per avere un tonico refrigerio quando l’aria è troppo pesante, non certo per restarvi, ma per tornar felici a rivestirsi, leggeri e risanati.

 

U ghiegghiu. Non soltanto, non vi era e non vi è alcun intento offensivo e dispregiativo nella scelta di uno dei nomi più diffusi e riconosciuti per identificare, ripetiamo ironicamente, la comunità italo-albanese ma quel termine, depurato da qualsiasi strascico negativo di centinaia e centinaia di anni fa, unisce oggi in un sorriso e nel richiamo all’esistenza, in Calabria, di una minoranza linguistica che insieme alle altre arricchisce la stessa forza culturale e identitaria distintiva regionale.

 

E che l’uso etimologico di ghiegghiu non sia affatto dispregiativo nel 2023 lo stanno scrivendo in questi giorni migliaia di calabresi e arbëreshe di tutte le generazioni che non hanno proprio capito e digerito il senso di questo tentativo di polemica auto-distruttiva, che ci stanno scrivendo per attestarci stima, fiducia ed incoraggiamento e che stanno commentando negativamente sui social alcune singole prese di posizione che risultano davvero esagerate, per contenuti e per toni.

 

Prendiamo atto – continuano – dell’interessante dibattito che si è scatenato sui media e sui social, grazie al progetto del nostro panino, su quali siano le migliori strategie ed i migliori strumenti attraverso i quali recuperare eventuali ritardi ed errori del passato per investire meglio e diversamente sulla tutela linguistica e culturale della minoranza linguistica. Nutriamo rispetto e leggiamo con attenzione.

 

Ma, attenzione, noi restiamo dei semplici e piccoli imprenditori, certo innamorati della nostra terra, di sicuro appassionati promotori della nostra identità più viscerale, senza dubbio convinti sostenitori del valore culturale, economico e di riscatto sociale della nostra biodiversità e della nostra enogastronomia di qualità, ma pur sempre – scandiscono – dei normali imprenditori.

 

Alle istituzioni, laiche e religiose, compete e competerà occuparsi con sempre maggiore determinazione della valorizzazione del patrimonio culturale arbëreshe che sappiamo benissimo non coincidere con un panino, ci mancherebbe altro o con l’enogastronomia tipica che però apre porte e finestre culturali, sociali, turistiche ed economiche.

 

Ma i panini nei quali continuiamo a mettere prodotti e nomi dialettali e proverbiali di quella Calabria non oicofobica e che non si vergona di se stessa (come ad esempio i panini Acri, Bisignano e Luzzi tre panini cu i cazzi, proverbio antico che non ha mai offeso nessuno) sono stati e restano – conclude il management di Mi ‘Ndujo dichiarandosi aperto ad ogni ulteriore incontro e confronto con tutti – anche quegli strumenti con i quali stiamo restituendo tanta dignità e fierezza, anche lessicale e dialettale, fuori e dentro la regione ad intere generazioni di calabresi, terroni e ghiegghi, che con un semplice sorriso, senza pesantezza ed a testa alta sanno chi sono, lo dicono, ci scherzano e vogliono competere col mondo, senza pianti, mugugni, lamentele, divisioni, cliché e tabù di un’epoca che fortunatamente non appartiene loro”.

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