Assoluzione piena, perché il fatto non sussiste, e perdita di efficacia della misura cautelare in atto. Fine di un incubo, in primo grado, per il reggino Giuseppe Morabito, 59enne, accusato di vari reati, ma scagionato dalla sentenza emessa dal giudice Elsie Clemente, che ha avvalorato le tesi portate avanti dall’avvocato di fiducia, Antonio Maria Iaria.
La Procura aveva avanzato le accuse nei confronti dell’uomo per una serie di reati legati al maltrattamento della compagna, allo stalking e alla detenzione illegale di armi. L’imputato era accusato di aver ripetutamente maltrattato la sua compagna, anche durante la gravidanza, utilizzando violenza fisica e verbale, con insulti e minacce. In particolare, secondo l’accusa, Morabito avrebbe aggredito la donna in diverse occasioni, anche durante la loro convivenza, con episodi di violenza che andavano dal semplice schiaffo a veri e propri scatti di rabbia che hanno incluso schiaffi e pugni. In un’occasione, l’imputato l’avrebbe anche costretta a un diverbio fisico violento che ha coinvolto l’intero ambiente domestico.
Nel corso della relazione, l’imputato avrebbe usato ripetutamente minacce gravi, come quella di danneggiare la casa e la persona della sua compagna. Secondo la Procura, le minacce erano spesso accompagnate da aggressioni fisiche che si verificavano in casa, quando l’uomo era sotto l’effetto di forte irritazione e in presenza di altri membri della famiglia. Un episodio particolarmente inquietante era quello contestato all’imputato, che avrebbe minacciato la donna con un’arma da fuoco, gettando un’ombra di pericolo sulla sua incolumità e su quella di altri familiari.
Oltre alla violenza fisica, nel racconto della parte offesa, Morabito l’avrebbe appellata con epiteti offensivi come “puttana” e “troia” in situazioni di forte stress.
Il pubblico ministero aveva chiesto il giudizio immediato per l’imputato, che si trovava in custodia cautelare. Da qui il processo, affrontato da Morabito, assistito per tutta la durata del dibattimento dall’avvocato Iaria. Il caso riguardava anche un’altra grave accusa: l’imputato sarebbe stato trovato in possesso di un’arma comune da sparo, detenuta illegalmente. L’uomo avrebbe tenuto l’arma, probabilmente per difesa personale o come minaccia, e il suo possesso costituisce un aggravante, aumentando la gravità dei reati.
Nel corso delle indagini, la Procura sosteneva che l’imputato non solo agiva con violenza fisica, ma anche con comportamenti psicologici pesanti, che hanno messo la vittima in uno stato di continua paura. Tra i vari episodi, l’imputato avrebbe anche minacciato di uccidere la donna e di farle del male in maniera irreversibile.
Coinvolto nelle presunte minacce di morte, anche il nuovo compagno della donna, nipote dell’imputato. Da qui anche la contestazione di stalking. Secondo l’accusa, Morabito avrebbe inciso sulle abitudini di vita dei due, attraverso pedinamenti e aggirandosi spesso attorno all’abitazione dove si trovavano. I due non sarebbero quindi potuti uscire di casa e avrebbero dovuto comunicare solo tramite il telefono, per paura di incrociare l’imputato. Accuse, tuttavia, che l’avvocato Antonio Maria Iaria ha smontato in primo grado, in primis con riferimento alle condotte messe in essere durante la gravidanza, portando all’assoluzione del proprio assistito.