Più di seicento persone hanno partecipato lunedì 25 marzo all’incontro congiunto tra la Scuola Biblica e la Scuola per i ministeri per la Lectio del Vescovo, monsignor Serafino Parisi, su “Il dolore innocente”.
Un momento di condivisione per i partecipanti a queste due esperienze che ormai da più di un anno la Diocesi sta vivendo in un cammino di approfondimento della fede: “Oltre ai contenuti proposti – ha detto al riguardo monsignor Parisi – , questi percorsi ci danno la possibilità di vivere un’esperienza di comunione tra persone di comunità vicine che, probabilmente, fino ad oggi non avevano avuto molte occasioni di incontri comuni: la comunione, di fatto, si costruisce tra di noi, tra persone in carne e ossa. Per tale motivo questa dinamica è molto importante in quanto genera circolarità e condivisione”. Tra le altre cose, il Vescovo ha evidenziato che la Scuola per i Ministeri “è un percorso di formazione che viene incontro alle richieste e alle attese dei fedeli laici, dei religiosi e delle religiose, insomma di tutte le componenti del popolo di Dio che è nella diocesi lametina, allineandosi con quanto era stato scelto dal Sinodo nelle varie fasi diocesane. Chiaramente – ha proseguito il presule – è una iniziativa che ha bisogno di tempo per radicarsi, come accade per qualsiasi processo. Questo ci chiama a un costante accompagnamento ed a una appassionata cura”.
Monsignor Parisi ha poi ricordato che tra gli aspetti e i riverberi positivi di questa iniziativa della Scuola per i ministeri c’è la consegna concreta di tutto il processo formativo ai sacerdoti e ad alcuni laici della nostra Diocesi che si stanno impegnando a portare avanti le lezioni”, rimarcando che si tratta di “un grande movimento di professionalità e competenze. Quest’anno – ha aggiunto – abbiamo individuato 16 sacerdoti, il prossimo anno altri 8. Una scelta precisa che va nella direzione di mettere in gioco le energie, le disponibilità e le competenze della nostra chiesa diocesana”.
Il Vescovo ha fatto poi un riferimento alla Scuola Biblica, alla sua struttura e alla sua “ratio”: infatti, “affrontando argomenti che hanno ricadute di stretta attualità proposti attraverso l’interpretazione di alcuni testi biblici, si impara a leggere criticamente la Sacra Scrittura e si trovano orientamenti per i grandi interrogativi esistenziali. Per questo motivo la Scuola biblica ha e offre un respiro più ampio con relatori nazionali ed internazionali. Si tratta di due realtà che si integrano, sono due percorsi che vogliono davvero intervenire ‘a gamba tesa’, ovvero direttamente dentro la storia dei credenti che si trovano all’interno di questa Diocesi e che vogliono arrivare alla consapevolezza delle ragioni della propria fede. E questo è valido anche per coloro che sono alla ricerca, per gli atei e per gli agnostici che vogliono però accostarsi allo studio e alla comprensione di ciò da cui loro hanno deciso di stare a distanza”.
Poi, entrando nel merito dell’incontro, il Vescovo ha chiesto: “Perché l’innocente soffre? L’urlo di dolore del giusto cade nel vuoto o c’è Qualcuno disposto a raccoglierlo?”. Ed è stato proprio partendo da “una delle domande più dure, che attraversa i secoli e le culture”, che monsignor Parisi ha avviato la sua riflessione che si inserisce “nel contesto della Settimana Santa, che ha al suo centro l’immagine di un innocente che viene crocifisso. Di fronte alla domanda ‘perché l’innocente soffre’, i non credenti sono, in un certo senso, avvantaggiati: chi non crede può attribuire il male al fato, a un destino ineluttabile oppure al caso. Per chi crede, invece, l’interrogativo è drammatico: se Dio è buono, unde malum?”.
Spaziando dai testi della tragedia greca e della filosofia antica per giungere all’Antico Testamento, il Vescovo si è soffermato sulla vicenda di Giobbe “che non è, come si dice spesso, un mero paziente. Giobbe urla verso Dio, chiede a Dio di ‘venire fuori’ e di spiegargli il perché del male”. Entrando nei particolari della struttura del libro, monsignor Parisi ha fatto notare che “la vicenda di Giobbe smonta quella visione distorta di Dio, sostenuta dagli stessi amici di Giobbe, che rappresentavano un Dio di plastica dal cuore di pietra. La perseveranza nella fede di Giobbe smonta il dubbio che l’accusatore aveva insinuato nella mente di Dio. E il testo conduce a dire che il Signore non ha bisogno di prove. Dio, al contrario, punta su Giobbe contro il Satana, cioè l’accusatore, il destabilizzatore. La sofferenza di Giobbe fa emergere l’uomo nella sua dignità e permette allo stesso uomo di sperimentare, come senso di quel patire, di essere conosciuto da Dio. La sofferenza di Giobbe è come una modalità offerta all’uomo perché possa mostrare la sua fede, perché possa far emergere il dato che Dio conosce profondamente l’uomo al punto di fidarsi di lui e così rispondere, con una visione di reciproco affidamento, a quelli che si pongono l’interrogativo sul dramma della sofferenza e della morte, del male e del dolore”.
Nel concludere, citando Viktor Frankl, il Vescovo si è soffermato sul concetto di “homo patiens” evidenziando come “è nel limite che l’uomo esprime la sua verità, perché è nella consapevolezza di quel limite costitutivo dell’uomo che Dio innesta e manifesta la sua forza”.
Dalla vicenda di Giobbe, dunque, “la fede esce vittoriosa e, con la fede, anche l’uomo”.