di Paolo Ficara – Oggi daremo una piccola delusione, forse parziale, alle persone cui avevamo promesso una sorta di Vaffa-day con il seguente articolo. In qualche caso, si tratta delle stesse persone che ci incitano a scendere di livello, mettendoci a rispondere alle fastidiose quanto assurde invettive che riceviamo ad ogni piè sospinto, non appena sul Dispaccio si tratta l’argomento Reggina.
Ci chiediamo infatti a cosa servirebbe. Di fronte ad una città che ancora non ha compreso la situazione. Di fronte a sempre più beceri quadrupedi che vanno ancora sul personale, come se chi scrive dovesse rendere conto di furto o alto tradimento. Ed attorniati da una massa di incapaci ed invidiosi, propostisi a più riprese negli anni passati per usurpare il lavoro giornalistico altrui, ma in prima fila a starnazzare e soprattutto a raccontare inesattezze e falsità, parteggiando oggi per l’amico e domani per il compare.
La risposta è che non servirebbe a nulla.
La risposta ci viene fornita dagli ultimi mesi in cui solo il Dispaccio – e pochi altri, in maniera tanto valida quanto tardiva – ha provato ad avvisare sui rischi intrapresi dalla manovra azzardata della Reggina. Nessuno, oltre chi vi scrive, è trasalito quando un comunicato del febbraio scorso recitava così: “Viviamo, pertanto, una particolare situazione che si è venuta a creare nel sovrapporsi di scadenze federali con l’iter del piano di ristrutturazione del debito già avviato lo scorso dicembre”.
La Reggina vedeva come secondarie le scadenze federali. Ignorando che l’esistenza stessa del club sia legata all’affiliazione alla Federcalcio.
Vi risparmiamo la cronistoria degli eventi successivi e delle nostre prese di posizione. Ricordandoci gli scherni quando a Reggina Talk interveniva l’avvocato Eduardo Chiacchio, ponendo il rischio iscrizione dato che anche l’eventuale omologa non sarebbe potuta diventare definitiva entro giugno. Era il 17 aprile scorso. E giù con gli insulti, assieme alle accuse di essere nemico.
La dimostrazione finale, accompagnata dalla nostra deposizione delle armi, è fornita dall’articolo di domenica. Quello in cui facevamo notare che i creditori aderenti a 30 giorni, non erano stati saldati. Delle due l’una: se l’omologa è esecutiva, andavano pagati; se l’omologa non è definitiva, allora ha ragione Gravina. Ma la Reggina ha torto nell’un caso e nell’altro. Bestie.
E adesso dopo l’ennesimo comunicato allunga-brodo, ripartirà il carro della speranza. Come se non bastasse l’ennesima sconfitta 4-0, perché tale è il dispositivo del Collegio di Garanzia verso la Reggina, per far capire alla città che la frittata è fatta da tempo. Ossia dal momento in cui l’attuale proprietà ha bellamente trascurato il codice di giustizia sportiva, beandosi di una legge – quella del codice crisi impresa – fatta non male ma malissimo.
Se lassù qualcuno vuole eccessivamente bene alla città di Reggio Calabria, al punto da non farci imparare la lezione nemmeno stavolta, il Tar del Lazio potrebbe dare ragione non certo in termini fattuali – dove c’è il torto marcio di aver pagato o non pagato a piacimento le varie categorie di debito – ma solo per particolari ed impronosticabili incastri.
Ma i nostri politici, a livello nazionale, sono gli stessi battutisi per un aeroporto in cui volano più zanzare che aerei. E a livello locale, sono quelli che in piena estate, a metà luglio, ancora tengono chiuse porzioni di transito sul Corso Vittorio Emanuele – meglio noto come via Marina alta – per un semplice rifacimento di manto stradale. Leggendo la minacciosa lettera indirizzata dai due f.f. a Giovanni Malagò, presidente del Coni, abbiamo trovato similitudine con la scena iniziale di Rocky 3: quella in cui un brillo Paulie minaccia il cognato Rocky Balboa di spaccargli la faccia.
Eppure a Reggio, tanti citrulli – gli stessi che dispensano un tracotante ottimismo dallo scorso febbraio – si erano convinti che i nostri politici si sarebbero mostrati più forti di quelli bresciani o lombardi, nei vari gradi di giudizio. Ma d’altronde, li avete votati voi.
In tutto ciò, non c’è ancora nessuno che sia andato da Bosman a dirgli con educazione di posare il giocattolo, immediatamente e senza condizioni. La Reggina è stata estromessa dalla Serie B perché il proprietario ha voluto fare il fenomeno. La sua abilità è stata quella di scegliersi i giullari giusti a corte, qualcuno si è illuso persino di avere la corona in testa. E la città non solo ha subito passivamente tutto ciò. Non solo gli ha detto bravo. Ma ancora – e questo è il vero dramma – non ha compreso di aver perso.
Ma non – solo – il pallone. Di aver perso la faccia.