Nella parole si nasconde la fregatura. Questo il legislatore lo sa bene e, spesso, soprattutto su materie controverse, con le parole ci gioca pro domo sua, per celare l’ennesimo inganno. E’ questo il caso dell’ultima Legge di bilancio licenziata dal Consiglio dei ministri lo scorso 21 novembre che, in uno dei suoi articoli, recita: “Determinazione dei Lep ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.
L’approvazione di questo articolo in legge di Bilancio, non deve passare in silenzio. Esso nasconde l’ansia da prestazione di una forza politica, ritornata al governo del Paese lo scorso settembre, che vuole portare a casa una riforma identitaria.
Ma non solo, la norma cela un inganno per tutte le regioni del Mezzogiorno. Se, infatti, fosse approvata la manovra dal Parlamento senza essere emendata sul punto, la norma in questione prevede che i Lep, (gli ormai famigerati Livelli essenziali delle prestazioni), verranno definiti da una Cabina di regia, istituita sulla base della stessa previsione normativa, in funzione non dei reali fabbisogni dei territori, del Sud in particolare, ma in rapporto alle risorse disponibili da parte dello Stato e “a legislazione vigente”.
Questo tema, infine, fondamentale per le prospettive del Mezzogiorno, unito alla scarsa attenzione che la legge di Bilancio pone su materie quali: lavoro, stato sociale e fisco, basta per chiamare alla mobilitazione le piazze ed i territori.
Il legislatore cosi facendo, quindi, manderà in soffitta la Perequazione, rispetto alla quale la Costituzione prevede l’istituzione di un fondo statale, utile a garantire una omogeneità nella distribuzione della spesa pubblica da parte del tanto delicato e complesso meccanismo del Regionalismo asimmetrico.
L’articolo in questione, poi, si spinge addirittura fino al punto di prevedere che, laddove la Cabina di regia non dovesse definire i Lep, entro un anno dall’entrata in vigore della legge di Bilancio, sarà un Commissario a portare avanti e completare il lavoro propedeutico all’attuazione del Regionalismo differenziato.
Dunque, rimanendo così le cose, l’attuazione di un capitolo della Costituzione, così complesso e delicato come quello dell’Autonomia differenziata, piuttosto che essere definito attraverso il circuito democratico della discussione in Parlamento, aprendo la stessa alle parti sociali e alla cittadinanza attiva, sarà affidata all’operato di un organo monocratico, quale è un Commissario nominato da un governo che, tra le altre cose, sul tema è un esecutivo oggettivamente di parte.
Il futuro del Mezzogiorno, pertanto, sarà determinato da un “monarca” che deciderà per noi e per le future generazioni.
E tutto questo mentre lo Svimez, non più tardi di 48 ore addietro, ci ha ricordato che il Sud sta vendendo accentuarsi, rispetto al Nord della Nazione, i divari di cittadinanza.
Far passare in sordina questa norma sarebbe l’ennesimo errore, dopo quello commesso sulla legge 42/09, quella che ha introdotto il concetto di federalismo fiscale, sulla quale in passato si è consumata una colpevole distrazione da parte della classe dirigente meridionale. Un errore macroscopico che, oggi, è reso evidente a tutti anche dagli atti sottoscritti, negli anni, dalle commissioni parlamentari competenti in materia..
Distarsi adesso per una seconda volta non è ammissibile. Se sbagliare può essere considerato umano, anche se a certi livelli di responsabilità non è consentito, perseverare può trasformarsi in diabolico per l’Unità Nazionale, per la Coesione sociale del Paese e in particolare per il futuro del Mezzogiorno.
Su questo non ci si può dividere, anzi occorre una forte azione unitaria che si sforzi di aprire il confronto con chi amministra la cosa pubblica, per evitare l’ennesima beffa per le regioni del Sud Italia, ma non si preoccupi di richiamare la piazza laddove fosse necessario.