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Falcomatà e il terzo mandato: “Devono essere i cittadini a mandare a casa i sindaci”

di Gaia Serena Ferrara- Nella cornice del confronto avvenuto ieri a Catanzaro fra sindaci delle quattro province, che hanno dibattuto ampiamente sulla portata e le conseguenze nefaste dell’eventuale approvazione del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata (che se approvato disgregherebbe il paese e annienterebbe un sud Italia già allo stremo), particolare risalto ha avuto l’intervento del sindaco di Reggio Calabria Falcomatà.

Da poco reintegrato nel suo ruolo di Primo cittadino all’indomani dell’assoluzione definitiva dall’accusa di abuso d’ufficio, il sindaco Falcomatà non ha potuto esimersi dal compiere una serie di riflessioni più ampie circa il senso e la portata dell’incarico che è tornato a ricoprire dopo i due anni di stasi nella quale lo aveva relegato la Legge Severino.

“Ho capito quanto mi mancasse quella fascia soltanto nel momento in cui l’ho persa” ha esordito Falcomatà in apertura del suo intervento.

“Noi sindaci rappresentiamo un pezzo, piccolo o grande, di un puzzle che tutto insieme dà una figura che è quella del nostro Paese, senza il quale la figura perderebbe di senso e di significato – spiega – e la legge Calderoli attenta a quel puzzle”.

In un contesto generale, ricorda Falcomatà, in cui il nostro paese non versa in condizioni ottimali: “Ci troviamo in un momento di grande debolezza dell’Italia agli occhi dell’Europa, lo stiamo vedendo con il teatrino del Mes, ma anche con quella riunione di nostalgici dell’ultra-destra a Firenze, ma anche un contesto in cui la maggioranza di governo è piena di veti e contro-veti”.

 

Infatti, come spiega il sindaco, la riforma Calderoli non è l’unico disegno di legge annunciato e arenato: “Abbiamo quello della riforma delle Province e Città Metropolitane, la riforma sulla giustizia che non si capisce bene a che punto sia e in questo senso parlo anche della mia personale esperienza che dalle nostre parti chiamiamo ‘del patuto’ cioè quello che viene incoraggiato a suon di pacche sulle spalle e rassicurato rispetto a qualcosa che sta per succedere”.

“Nella mia città dal 25 ottobre – racconta Falcomatà – sono arrivati per motivi istituzionali due Ministri e un Sottosegretario, e tutti, con questo afflato quasi paterno (o paternalistico) mi hanno detto ‘Non ti preoccupare lo cacciamo l’abuso d’ufficio’ e si tratta, anche lì, di una procedura e di una riforma impantanata”. “Evidentemente – prosegue – questa riforma sta dentro un sistema di organizzazione generale di pesi e contrappesi all’interno di una maggioranza che è profondamente divisa e dove l’unica riforma che sta andando avanti è quella che non consente il terzo mandato dei sindaci”.

Falcomatà si spinge a definirla la “norma anti-Decaro”, sostenendo in tal senso che non si voglia consentire a chi ha governato bene la propria città quanto meno di essere mandato a casa dai propri concittadini: “Tutte le altre cariche dello Stato hanno la possibilità di avere più mandati, noi chiediamo solo che sia la cittadinanza a mandare a casa un’amministrazione”.

 

Anche lo stesso Presidente Nazionale dell’Anci, Decaro, non ha mancato di sottolineare l’aperta contraddizione che si rileva riguardo il terzo mandato: “Il 70% dei sindaci vanno alle elezioni l’anno prossimo, la metà di questi sono al secondo mandato. Dunque, non danno la possibilità ai sindaci di potersi ricandidare ma fanno una norma sull’elezione diretta del premier senza limiti di mandato.”

Ecco che, allora, anche in questo caso si riscontra questa dicotomia alla base di tutto il ragionamento: “Ci sono presidenti di Regione, premier, parlamentari, insomma figure istituzionali senza limiti di mandato, a differenza del sindaco che invece ne ha. Per di più secondo la Legge Severino, dopo aver ricoperto questa carica, per i successivi due anni non è possibile ricoprire alcun incarico pubblico”.

E infine, Decaro conclude chiedendosi: “Hanno forse paura dell’autonomia o dell’autorevolezza dei sindaci?”

 

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