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Giunto alla seconda giornata di programmazione, il “Tropea Film Festival” continua a regalare emozioni e suggestioni

Seguendo il suo scopo principale, l’iniziativa diretta da Emanuele Bertucci anche nel secondo atto ha avuto avvio con un focus sulla formazione attoriale curata da Giorgio Colangeli, vincitore nel 2007 del David di Donatello come migliore attore non protagonista nel film L’aria Salata. In contemporanea si è tenuta la lezione per le maestranze del cinema all’interno di Palazzo Santa Chiara che ha poi ospitato la proiezione dei cortometraggi.

Dopo gli short movie fuori concorso della giornata inaugurale, si è entrati nel vivo della competizione con il lancio di due opere: The Delay di Mattia Napoli e La sedia sul mare di Elisa Faccioni. Entrambi i registi hanno presentato i propri lavori al pubblico spiegandone la genesi e le peculiarità.

The Delay è un racconto che segue la storia di Arturo, un uomo che viene coinvolto in un evento imprevedibile chiamato “fuori sync”, che lo fa uscire dai binari del tempo come lo conosciamo. Questo evento stravolge completamente la sua vita. Ciò che sembra essere un’incredibile limitazione si rivela però un’opportunità per osservare la realtà da una prospettiva completamente nuova. È stato girato interamente a Torino e ha vinto la 18esima edizione di Cortinametraggio.

La sedia sul mare ha vinto il Premio Mamma Roma come Miglior Cortometraggio paragonato dalla critica come “il principio di un racconto di Hemingway”. Girato in Sicilia, il piccolo film racconta la storia di un uomo estraneo al caos cittadino, che ritrova la pace soltanto nella nostalgica contemplazione dell’orizzonte quando siede in riva al mare. La sedia sul mare altro non è che una semplice rappresentazione di chi sa solo bearsi e soffocare nei ricordi di una vita passata. Di chi pensa a come sarebbe stato per evitare di pensare a ciò che è realmente. Antonio è un anziano pescivendolo del mercato di Catania, da che ne ha memoria è un uomo scontroso, intollerante e col tempo, divenuto solo.

A illustrare la modalità di selezione dei corti per l’accesso a questa prima edizione del Festival, è stata l’attrice Valentina Gemelli in qualità di curatrice della sezione. Per i tempi stretti, infatti, non è stato possibile emanare un bando, bensì sono state contattate direttamente le distribuzioni e le produzioni chiedendo espressamente la proposta di opere prodotte nel 2022. Non c’è un tema comune a legare i sei film in gara, tra cui, è stato inserito anche un lavoro cofinanziato dalla Film Commission Calabria. Le opere sono rappresentative di quasi tutto il territorio nazionale, dalla Toscana, Sicilia, Lazio, Piemonte e Calabria.

Fino al 29 giugno sullo schermo di Palazzo Santa Chiara scorreranno le immagini dei corti selezionati per poi arrivare venerdì 30 alla proclamazione del vincitore da parte della giuria tecnica presieduta da Salvatore Romano.

IL DIBATTITO CON L’ATTRICE ANNALISA INSARDÀ: Stimolante l’incontro con un ospite d’eccezione, Annalisa Insardà, attrice, doppiatrice, insegnante di recitazione e conduttrice calabrese. Un vero talento capace di vedere l’arte nella sua più profonda forma intellettuale, schierata sui temi della giustizia sociale. Con un curriculum professionale di assoluto prestigio, ha recitato per il cinema e per fiction di successo. In un dialogo con Valentina Gemelli ha spiegato cosa significa nel contesto attuale svolgere il lavoro dell’attore, una professione che non si può improvvisare:

Il talento non basta. Serve un percorso di formazione che possa dare agli attori gli strumenti per diventare interpreti della condotta sociale”, riconoscendo un ruolo di responsabilità in chi comunica stando sul set. “Sarei – ha aggiunto – per la creazione di un albo degli attori perché la formazione è struttura, oltre che cultura”.

Sul suo approccio alla sceneggiatura ha raccontato: “Dopo essermi cimentata nella scrittura cinematografica, riconosco di non avere quelle competenze. Scrivere per il cinema richiede delle abilità specifiche che non hanno neppure tutti gli scrittori. Bisogna avere rispetto dei ruoli e fidarsi dei registi”.
Sul valore pedagogico e terapeutico di guardare le pellicole in sala: “Il cinema resta una suggestione collettiva insostituibile. Credo che in ogni città ci dovrebbe essere una sala sempre aperta ad accogliere gli spettatori, quasi come fosse un ospedale, con le proiezioni mandate a rotazione continua. Perché il cinema cura l’anima”.
Dopo aver spiccato il volo e ottenuto grandi soddisfazioni professionali, Annalisa Insardà non dimentica le sue origini: “Venire dalla Calabria è una risorsa, non un problema. I calabresi sono temprati. Per emergere dobbiamo lavorare il doppio, siamo abituati a faticare. La nostra è una terra che parla al presente per cui ha nelle sue corde una grande concretezza. Io mi definisco una donna di terra, saldamente ancorata alle mie radici”.
Per fare questo lavoro serve spirito di sacrificio: “Essere attore significa anche mettere a disposizione, prestando attenzione alla salute, il proprio corpo per interpretare un ruolo: ingrassare, dimagrire, cambiare il look dei capelli. Un’altra frontiera da abbattere è quella legata al genere: alla donna può essere affidata anche la parte di un uomo”.

LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO: Il momento letterario è stato dedicato alla presentazione del libro di Antonio Ludovico C’era una volta in Italia. La settima arte in 100 capolavori del cinema. Ludovico traccia la parabola della gloriosa storia del neorealismo, che ha incantato il mondo sin dal primo Dopoguerra. Dalla Roma Città Aperta di Roberto Rossellini, opera pionieristica capace di scavare tra le macerie di una capitale ancora sotto assedio, mostrando il volto autentico di un popolo sfiancato dalla guerra, al Vangelo Secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, capolavoro struggente e straordinario, girato nelle nostre terre. O, ancora, Accattone che dà voce al sottoproletariato di un’Italia nascosta. Dal cinema di Vittorio De Sica, che con La ciociara dipinge un’Italia tormentata dalla violenza del conflitto a quello di Rosi, che con Le mani sulla città denuncia gli intrecci e il decadimento della politica degli anni Sessanta. Sono innumerevoli gli autori trattati nell’opera di Ludovico, che apre una finestra su un patrimonio cinematografico inestimabile. Centrale il momento dedicato a Sergio Leone che con i suoi capolavori ha stravolto le regole della narrazione dei film del suo tempo, inventando un linguaggio nuovo che ha poi influenzato (e lo fa tutt’ora) la produzione delle grandi major del mondo intero.

Molti gli aneddoti emersi. Tra cui la straordinaria intuizione di Federico Fellini nell’individuare gli attori tra la gente comune, al punto che nel gergo comune, oggi, si usa l’espressione “tipo felliniano”. Altra caratteristica di quel cinema: era una sorta di documentario, un racconto di ciò che era realmente accaduto.

A dialogare con l’autore il giornalista Paolo Di Giannantonio che ha sottolineato la capacità del cinema di consegnare una fotografia autentica del dopoguerra, epoca in cui al cinema è stato affidato il racconto crudo di quegli anni.

Un accenno anche all’importanza del cinema di Leone e lo straordinario connubio del regista con Ennio Morricone. Nei suoi film le musiche diventano anch’esse personaggio. Così come i lunghi silenzi, spesso scanditi da giochi di sguardi molto intensi.  Di Giannantonio e Ludovico hanno accompagnato il pubblico tra le strade polverose della New York del 1933. Quella del proibizionismo di C’era una volta in America. Non sono mancate le riflessioni sulla crisi attraversata dal cinema italiano che, solo da pochi anni, mostra timidi segni di ripresa. “I problemi del settore – ha spiegato Di Giannantonio – nascono dalla mancanza di grossi investimenti da parte dei produttori, un tempo spina dorsale del cinema italiano. Oggi la risorsa principale per realizzare un film sono i soldi pubblici” L’autore ha raccontato che la scintilla creativa è da ricondurre nel periodo di confinamento per la pandemia da Covid quando, riguardando le famose pellicole, ha avviato una sua riflessione che ha dato vita alla raccolta.

Ludovico ripercorre le orme di quel cinema brillante che ha portato alla ribalta Alberto Sordi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman. Quella narrazione del Paese attraverso un’ironia acuta, capace di sottendere un’analisi critica senza sconti a quell’aspetto grottesco e stravagante di un intero popolo, ha contribuito spesso anche a stimolare il dibattito pubblico sui grandi temi sociali.

LO SPETTACOLO: Stupore e incanto sono state le grandi protagoniste della serata con la messa in scena dello spettacolo I Bronzi (si) raccontano. Da Argos a Riace in viaggio con il mito, che ha ripercorso la storia dei Bronzi di Riace sotto una nuova e inedita luce. Intorno alle due statue di bronzo, rinvenute il 16 agosto del 1972 in località Porto Forticchio di Riace Marina, aleggia ancora oggi il mistero.

La narrazione, basata sulle scoperte archeologiche del professore Daniele Castrizio, offre forti suggestioni e nuovi paradigmi interpretativi sull’origine dei colossi in bronzo. Prima la performance dell’attrice Annalisa Insardà che, con una vibrante interpretazione, ha declamato i versi di una poesia. Uno spettacolo corale, in cui Castrizio, Paolo Di Giannantonio e Fulvio Cama (musica) prendono per mano lo spettatore, accompagnandolo nella grande Agorà di Argos, dove è stata scoperta la base di marmo su cui era collocata una delle statue. Dalla Calabria alla Grecia, per poi scendere tra gli abissi del Mediterraneo, dove i bronzi hanno riposato per secoli. A scandire il racconto, colpi di scena, rivelazioni inedite sostenute da accurati studi scientifici, una colonna sonora curata nel dettaglio che, insieme alle immagini, crea un intreccio con le immagini a cura di Saverio Autellitano. Il tutto incorniciato dalla meraviglia che solo una storia come quella delle statue di Riace può offrire. Da qui una nuova traccia da seguire sull’origine delle due sculture la cui identità verrebbe ricondotta al mito dei Sette contro Tebe. Ai Bronzi verrebbe finalmente dato un nome: si tratterebbe dei fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Questo spinge gli autori a nuove ricerche sulle tracce delle statue degli altri protagonisti della storia cioè la madre e la sorella dei due pretendenti al trono e il veggente Tiresia.

 

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