“Algoritmi, dati e Democrazia. Persone e macchine nell’Impero degli algoritmi” è la lezione tenuta da Domenico Talia, professore ordinario di sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università della Calabria e vice presidente della Società Italiana di Intelligence, al Master in Intelligence dell’ateneo di Arcavacata, diretto da Mario Caligiuri.
Il relatore, nel corso della lezione, ha esplorato il ruolo delle tecnologie e il loro impatto sulle nostre vite, il lavoro, la società e le libertà individuali. Partendo da due significative citazioni, una del filosofo tedesco Martin Heidegger “Le conseguenze della tecnologia sono tutt’altro che tecnologiche” e l’altra dell’informatico olandese Edsger W. Dijkstra “L’informatica non riguarda i computer più di quanto l’astronomia riguarda i telescopi”, la discussione ha evidenziato come le tecnologie non siano mai neutrali ma, al contrario, impattano sulla società.
È stato poi analizzato dal docente il concetto di algoritmo e la sua trasformazione da strumento-oggetto a soggetto che agisce sull’uomo. Per Talia “gli algoritmi sono così onnipresenti nei nostri dispositivi digitali da influenzare la nostra interazione con il mondo esterno”. Ha proseguito ripercorrendo la storia degli algoritmi, i cui primi esempi vanno rintracciati oltre 3.000 anni fa nell’antica Babilonia, sino all’invenzione del primo calcolatore elettronico nel 1939, elencando le sue successive e fondamentali tappe tra cui la prima comunicazione tra due computer nel 1969, l’invenzione del web nel 1991 al CERN di Ginevra e l’introduzione sul mercato dell’iPhone nel 2007.
Proseguendo, il professore ha analizzato due figure storiche che hanno dato vita e forma all’informatica: Alan Turing e John von Neumann. Entrambi sono stati fondamentali nello sviluppo dei calcolatori elettronici, ma non hanno vissuto sufficientemente a lungo da osservare l’evoluzione di Internet e la comunicazione tra computer. Questo ci ricorda quanto rapidamente le tecnologie possano evolversi e come gli innovatori di oggi stiano costruendo sulle fondamenta del passato.
Dai due padri dell’informatica, si è giunti all’epoca degli algoritmi di machine learning e deep learning, quali tecniche avanzate di intelligenza artificiale che permettono ai computer di imparare automaticamente dai dati e migliorare le loro prestazioni. Il docente ha spiegato infatti che il machine learning si basa sull’addestramento di un modello matematico, attraverso l’analisi di un insieme di dati, capace di imparare a riconoscere schemi e relazioni nei dati stessi e fare quindi previsioni o prendere decisioni. Il deep learning è, invece, un sottoinsieme del machinelearning che utilizza reti neurali artificiali, ispirate queste ultime al funzionamento del cervello umano e in grado di elaborare informazioni in modo gerarchico.
Il docente, partendo dalla citazione dell’economista Luigi Zingales “oggi 20 programmatori di Google influenzano la vita di 2 miliardi di persone ogni giorno“, ha illustrato l’importanza dei dati nel contesto dell’informatica e del potere in mano a pochi programmatori e aziende capaci di condizionare le scelte di milioni di persone.
Talia ha inoltre affrontato il tema della compravendita di dati e informazioni nel mondo digitale e la loro apparente gratuità che, in realtà, nasconde uno scambio di valore sottolineando, al contempo, l’importanza di normative che siano in grado di frenare questo frenetico e continuo scambi di dati con tutti i rischi ad essi associati. Ha proseguito ricordando come l’efficacia degli algoritmi ponga soprattutto problemi di trasparenza e controllo. Il Regolamento europeo sulla Protezione dei Dati Personali (il cosiddetto GDPR), all’art. 22, prevede infatti che le persone hanno diritto a ricevere spiegazioni sulle decisioni automatizzate prese dagli algoritmi. Eppure, come ha evidenziato il relatore, “spesso nemmeno i programmatori riescono a comprendere come questi sistemi giungano alle loro conclusioni. Tutto ciò solleva questioni etiche e di regolamentazione che coinvolgono governi e legislatori.”
Il potere degli algoritmi, ha sottolineato il relatore, si riflette anche nella lotta geopolitica, in particolare tra Stati Uniti e Cina quali principali avversari nell’imporsi come leader nel campo delle tecnologie digitali. Ha quindi affermato che “lo sviluppo delle tecnologie digitali, negli ultimi decenni, è stato utilizzato come una forma di esercizio di soft power per costruire forme di supremazia politica ed economica”. L’Europa, pur in ritardo, sta cercando di recuperare posizioni in termini di sovranità digitale, mentre la Russia si concentra quasi unicamente sugli attacchi cyber.
Talia ha rilevato che la corsa al 5G è un esempio di questa lotta per il potere: la Cina sta cercando di imporsi come leader nel settore, ma gli Stati Uniti e l’Unione Europea stanno reagendo con misure volte a proteggere le proprie infrastrutture e i dati dei cittadini.
Per il docente il progresso tecnologico potrebbe portare a sviluppare algoritmi sempre più autonomi, capaci di prendere decisioni e operare senza l’intervento umano. Questo scenario, ovviamente, solleva ulteriori dubbi e preoccupazioni sul ruolo dell’uomo nell’era digitale e sulla possibilità che gli algoritmi possano un giorno sostituire l’élite cognitiva che li crea e li gestisce.
Ha poi analizzato il termine Big Data, evidenziando le quattro V che lo caratterizzano: Volume, Velocity, Variety e Veracity. Il relatore ha sottolineato l’importanza della quinta e aggiuntiva caratteristica del Value, ovvero il valore che possiamo ricavare dai dati attraverso l’utilizzo di algoritmi intelligenti.
Ha quindi descritto la cosiddetta società dell’informazione, dove le persone sono le informazioni che ricevono e che producono. Noi stessi, ha aggiunto, “siamo i grandi produttori di dati”.
Talia ha concluso spiegando il concetto di algocrazia, quale “potere che si sposta dai luoghi della democrazia a quelli di chi progetta e vende le tecnologie digitali che organizzano la nostra vita”. Questo fenomeno, ha precisato il docente, “solleva il rischio di generare una dittatura dell’algoritmo che porta alla diffusione di notizie false, le cosiddette fake news, che generano profitto per le piattaforme su cui vengono condivise. L’economia dell’attenzione costruita da queste piattaforme con la produzione di fake news diventa un’economia dell’ignoranza”.