“A volte bisogna rischiar, fare altre cose. Occorre rinunziare ad alcune garanzie perché sono anche delle condizioni” - Tiziano Terzani
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“Voce del verbo restare”. Fabiana Scordo

scordo fabianadi Valeria Guarniera – “Sono rimasta a Reggio per la mia famiglia, per il troppo amore”. Ci sono le radici alla base della scelta di Fabiana Scordo, combattente che ha pagato a caro prezzo la sua scelta: quella di essere se stessa, semplicemente. “Più che una scelta, è stata un’evoluzione naturale. Non potrei essere altro”, racconta così il percorso che l’ha portata a cambiare sesso: “In quel corpo da uomo non c’ero io”. Sì, perché Fabiana è sempre stata una donna, nel cuore e nell’anima, prima che davanti allo specchio. Anche quando il mondo la giudicava: “Botte, ingiurie, umiliazioni. Da adolescente ho sbattuto in faccia contro la cattiveria della gente. Le discriminazioni poi… Non è stato facile”. Stilista e sarta specializzata da 22 anni, Fabiana si è scontrata con la realtà reggina più volte – “Dietro il falso perbenismo si nasconde un mondo ingiusto” – ma ha deciso di restare, portando avanti la sua battaglia, lottando per ciò in cui crede. Oltre i pregiudizi e le categorie, a prescindere dalle discriminazioni della gente: essendo, semplicemente se stessa. E vivendo, nient’altro che una vita…normale.

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Quando hai capito che il corpo che vedevi allo specchio non rispecchiava ciò che sentivi di essere?

In realtà l’ho sempre saputo, non saprei dire un momento preciso. Da piccola, volevo il grembiule rosa e non blu, era il mio modo di dire che mi sentivo una bambina. Questa consapevolezza mi ha sempre accompagnato e non ho mai fatto nulla per nascondere ciò che sentivo di essere. A 18 anni mi sono dichiarata alla mia famiglia, per la prima volta ho affrontato l’argomento apertamente. Prima c’era un po’ di imbarazzo a parlarne: io ero giovanissima, la mia una famiglia tradizionalista e mio padre un uomo molto protettivo. Ma lo sapevano, lo hanno sempre saputo. Ho detto loro che volevo cambiare sesso e che me ne volevo andare. Mio padre mi disse: “Non c’è bisogno che te ne vai. Resta: l’importante è che ti fai rispettare”. Me ne volevo andare perché qui mi sembrava tutto più difficile. Poi anche mio padre non aveva le idee chiare al riguardo e non sapeva cosa aspettarsi conoscendo anche il contesto. Ma ha voluto che restassi. Sono fortunata: i miei mi hanno sempre appoggiato, consigliandomi di non fare passi avventati, di vivere un percorso lento e sicuro, nella piena consapevolezza. E così ho fatto: ho iniziato le mie cure ormonali e il cambiamento già si iniziava a notare. Per un po’ ho vissuto la mia vita da transessuale, non operata. Finchè poi la certezza è arrivata: volevo che il mio corpo traducesse la mia anima. Stavo male continuando a vivere il mio essere donna dentro il corpo di un uomo. Mi sono operata e lo rifarei altre cento volte.

Un passo importante che non si affronta con leggerezza: cos’è cambiato dall’operazione in poi?

Mi sono operata a Trieste e – nonostante sia un intervento difficile e doloroso – posso dire che lo rifarei altre cento volte. Per la mia consapevolezza, certo. Ma anche per il modo in cui ho potuto vivere in clinica questa esperienza così delicata. Chirurgo, medici, infermieri: sono stata amata. L’amore che ho ricevuto in quell’ospedale non si può descrivere. Nella mia vita “esteriore” non è cambiato molto, ho continuato a fare ciò che facevo prima: già andavo in giro vestita da donna e le cure ormonali mi avevano aiutato in questo. Quindi la percezione degli altri non è cambiata. E’ cambiato il mio modo di pormi e di essere a livello caratteriale: sono diventata più “conservatrice”, ho dato un valore aggiunto alla mia scelta. La cattiveria la conoscevo prima, e ho continuato a vederla dopo, talvolta anche da parte di chi aveva fatto la mia stessa scelta: giudizi sul fisico, prese in giro perché le mie caratteristiche fisiche secondo qualcuno non corrispondevano all’essere donna. O il mio non potermi permettere certi vestiti firmati o un determinato stile di vita… in realtà ne sono sempre andata fiera perché ho sempre vissuto del mio lavoro onesto.

Sei stilista e sarta un lavoro che porti avanti con passione da 22 anni e che ti avvicina ancora di più all’universo femminile

Sì, e ti posso dire che le donne hanno troppi timori e insicurezza. Ma essere donna è, prima di tutto, uno stato mentale. E tu ti senti donna, anche se non sei perfetta. E sei bellissima, anche se a volte non ti piaci. Non esiste un solo modo di essere donna, ciascuna è bellissima e unica, a prescindere dal fisico o dal giudizio degli altri. Bisogna stare bene con se stesse, e questa è la cosa più importante. Io donna lo sono sempre stata, anche quando lo specchio rifletteva un’altra immagine. Anche quando gli altri mi facevano sentire “diversa”…

Parliamo di discriminazioni: quanto è stato pesante portare avanti il tuo essere donna, anche prima che l’operazione cambiasse il tuo corpo?

Non è stato facile, mentirei se dicessi il contrario. Già a scuola subivo vari tipi di discriminazioni: botte, ingiurie, umiliazioni. A volte dovevo entrare dopo che suonava la campanella e uscire per ultima perché attiravo l’attenzione. L’ho detto: non ho mai nascosto quella che sono, non ho mai accettato l’idea di dovermi conformare solo per non essere messa da parte. Quindi già da adolescente andavo avanti a testa alta, ma era un calvario: l’8 marzo ricevevo anch’io la mimosa, certo, ma perché me la lanciavano addosso. Era un continuo difendersi: si raggruppavano – sai in branco si è più forti – e mi prendevano di mira: venivo sempre derisa, anche da persone più grandi, e questo mi feriva molto. Ma tenevo tutto per me e qualcuno mi accusava addirittura di essere io a provocare. Ma come fai a provocare semplicemente essendo te stessa? I momenti duri sono stati tanti, non era facile a quell’età vivere in un clima del genere. Anche oggi avverto sguardi pesanti su di me, il giudizio della gente. A volte ti fanno sentire come un fenomeno da baraccone, soprattutto quando ancora i documenti non erano aggiornati al mio stato attuale. Ero una donna con i documenti di un uomo. E allora – se capitava che prendevo una multa, ad esempio – dovevo andare negli uffici, dimostrare e la stanza magicamente si riempiva. Tutti a guardare, come se fossi stata un extraterrestre.

Fino all’episodio più spiacevole: quell’aggressione che ti ha profondamente segnato. “Reggio città omofoba che isola le diversità”, hai detto in quell’occasione. Lo pensi ancora?

In parte, ovviamente non voglio generalizzare. Ma quello che è successo racconta una situazione di violenza e discriminazione che in città c’è. Ero in un locale con delle amiche, passavo una bella serata. All’uscita sento un ragazzo che urla: “Questo è un trans”, con disprezzo. Io infastidita l’ho spostato dando un colpo sul petto. Calci e pugni sono stati la sua risposta, mentre tutti guardavano e, bevendo il loro cocktail, continuavano la loro serata. Una scena surreale, che mi ha profondamente demoralizzata. Ovviamente ho subito chiamato la polizia – e gli agenti si rivolgevano a me al maschile, nonostante sul documento di fosse scritto “Fabiana Scordo” – mentre lui si difendeva dicendo che avevo cominciato io. Mi sono sentita demoralizzata, ho pensato: ho lottato tanto, e a cosa è servito? Quella sensazione me la porto ancora addosso: l’indifferenza della gente, l’arroganza di chi mi colpiva e quel dover convincere la gente che no, non avevo fatto niente per meritarlo. Mi ha lasciato un profondo senso di insicurezza…

Eppure proprio a Reggio, nel luglio del 2014, il primo Gay Pride della storia calabrese. Un momento molto partecipato, in cui la città ha saputo prendere posizione, perché si parlasse finalmente di diritti e opportunità del mondo LGTB

Sì, un bellissimo momento a cui però non ho partecipato. Sono a favore del Gay Pride, ma personalmente preferisco un altro tipo di lotta, quella di piazza. E’ stato certamente un bel momento, una sveglia per la città. Ma c’era anche molta apparenza e tanti che strumentalizzavano la loro presenza lì perché in quel momento esserci faceva comodo. Quell’onda colorata era piena di falsi perbenisti, una vera e propria passerella. Tanti ci credevano, per fortuna, e questo mi ha portato a sperare che una nuova consapevolezza potesse nascere. E’ stato bello vedere i reggini partecipare in maniera così attiva. Ma in mezzo a loro tanta gente – politici, amministratori, gente comune – che pensava solo a farsi vedere. Non è un carrozzone, è semplicemente la voglia di gridare al mondo che noi esistiamo e che non siamo dei pagliacci. Quello che tanti giudicano un carrozzone – per i colori, la sfrontatezza, i travestimenti e tutto il resto – è solo la voglia di dare metaforicamente un pugno in pieno viso alla società che ci ignora, ci discrimina o peggio ancora ci tratta come il male assoluto. Come dire: “Ehi, ci siamo anche noi”.

Le lotte di piazza, hai detto. Proprio nell’anno del Gay Pride il tuo impegno nel mondo politico per un mondo – quello LGBT – quasi sempre messo da parte nei programmi elettorali

Esattamente: quell’onda colorata mi ha entusiasmato, pur non avendo partecipato. Ho visto uno spiraglio di luce… Reggio – grazie a questo “confronto libero”, alla partecipazione inaspettata di migliaia di persone ha dimostrato che c’è gente pronta a manifestare per far sentire la collettività LGBT parte integrante della realtà sociale. Per questo in quell’occasione ho accettato la sfida: cendere in campo per contribuire a creare una Reggio sempre più aperta alle differenze, lontana dal pregiudizio, con azioni che consentono alla nostra città di diventare una metropoli capace di accogliere persone libere di scegliere senza alcun timore”. Quella politica stata una bella parentesi della mia vita. L’impegno in questo senso è però costante.

Una vita passata a rivendicare il tuo essere e a rincorrere il sogno di una vita normale. Sempre a testa alta, nonostante le difficoltà…

Il mio sogno è stato sempre avere un uomo accanto, camminare mano nella mano: vivere una storia d’amore. All’inizio ero stupida e assecondavo chi, per la vergogna e per il giudizio della gente, mi chiedeva di vederci di nascosto: mi mettevo da parte, ero disposta a nascondermi pur di vivere quell’amore. Mi dicevano che per la mia altezza ero troppo appariscente, il mio non passare inosservata li imbarazzava. Quando ho conosciuto il vero amore ho cominciato a prendere consapevolezza e insieme abbiamo vissuto la nostra storia alla luce del sole, facendo le cose normali, persino banali come una semplice passeggiata mano nella mano. Una storia poi finita che mi ha dato però una grande sicurezza nel non essere più disposta ad accettare compromessi e la consapevolezza che non sono certo a dovermi nascondere.

Ti chiedo: oggi Fabiana, chi è?

Fabiana è oggi una donna completa, sicura con tutte le mie insicurezza e le mie paure. Una vita tranquilla, quasi banale. La possibilità di continuare a vivere del mio lavoro e di credere nel mio sogno. Non chiedo altro.

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