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42 anni fa la strage di Bologna: quel ruolo della ‘ndrangheta ancora tutto da scrivere

di Claudio Cordova – Si inquadra, secondo una storia, letteraria e giudiziaria, in una lunga, lunghissima strategia della tensione che ha contraddistinto l’Italia per oltre un decennio. Dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, fino alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974. Una lunga, lunghissima scia di sangue che ha macchiato il nostro Paese.

Sono le 10.25 del 2 agosto 1980 quando l’orologio della stazione di Bologna si ferma. La deflagrazione, il boato, le fiamme, i brandelli umani. Il bilancio: 85 vittime e oltre 200 feriti. 42 anni fa l’atto terroristico che ha mietuto più vittime, che ha fatto più danni. Uno degli ultimi di quell’epoca definita come “anni di piombo”, che porta dietro di sé ancora molti nodi da sciogliere.

Intrecci tra mondi oscuri e occulti. Dal terrorismo di matrice neofascista ai servizi segreti, alla massoneria. La celeberrima, anzi, famigerata, Loggia P2. E poi pezzi dello Stato, delle forze armate. Ma anche della criminalità organizzata. Quegli intrecci, difficili da seguire, portano anche fino alla Calabria. Con la presenza della ‘ndrangheta che, da sempre, aleggia su questi fatti drammatici.

Proprio recentemente, per la strage della stazione è stato condannato Paolo Bellini, ex membro di Avanguardia Nazionale, ma anche soggetto con collegamenti importanti all’interno della ‘ndrangheta. Per la criminalità organizzata calabrese compirà almeno una decina di omicidi. Un nuovo tassello in una storia giudiziaria che, già da decenni, ha visto la condanna definitiva degli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Tutti puniti in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, banchiere con rapporti con lo IOR, Federico Umberto D’Amato, già direttore dell’Ufficio Affari riservati del Ministero degli Interni e Mario Tedeschi, giornalista e politico.Tutti individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori.

Bellini è considerato il “quinto uomo” di quell’azione terroristica. Oltre alle tre condanne definitive, infatti, ce n’è un’altra, finora di primo grado, a carico di Gilberto Cavallini. Bellini è stato proprio un uomo forte di Avanguardia Nazionale. Il coinvolgimento e la condanna di Bellini non hanno fatto altro che riaccendere i riflettori sul ruolo che potrebbe aver avuto la ‘ndrangheta in queste vicende. Nel corso del dibattimento ha anche deposto l’ex esponente di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, Vincenzo Vinciguerra, uomo noto alle cronache calabresi, perché teste chiave anche nel maxiprocesso “Olimpia”. Vinciguerra ha riferito di un “accordo organico” tra destra eversiva e ‘ndrangheta. “La ‘Ndrangheta vedeva Avanguardia come una forza che poteva mettersi contro lo Stato” ha detto un aula.

Ma non è solo il coinvolgimento di Bellini a far sospettare sulla ‘ndrangheta. Il legame maggiore è quello con Avanguardia Nazionale, che in Calabria e, in particolare, a Reggio Calabria, aveva una presenza massiccia fin dagli anni ’60. Vicende su cui abbiamo solo qualche flash di luce e di verità storica o giudiziaria. Ciò che appare consolidato è che la ‘ndrangheta dovesse rappresentare l’esercito su cui avrebbe potuto contare il principe Junio Valerio Borghese, animatore e protagonista del tentato golpe, progettato alla fine del 1969. Proprio a pochi mesi dalla rivolta del “Boia chi molla”, la ribellione di Reggio Calabria per la mancata assegnazione del capoluogo di Regione. Un’azione nata spontaneamente, ma fagocitata dagli ambienti di destra.

Proprio quel mondo della destra eversiva che a Reggio Calabria sarebbe stato di casa, con soggetti che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con il territorio. Oltre a Borghese, anche Franco Freda, altro soggetto che lega il proprio nome ad alcuni dei fatti più oscuri della storia d’Italia. Trascorrerà una parte di latitanza ospite della ‘ndrangheta dei De Stefano, prima di fuggire in Costarica con un passaporto falso. E poi lui, Stefano Delle Chiaie, “Er Caccola”, fondatore di Avanguardia Nazionale. Da sempre accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio. I processi, però, lo hanno sempre visto assolto per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove.

Recentemente, una puntata di “Report” ha anche paventato il suo coinvolgimento nella strage di Capaci, dove mori il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta. Delle Chiaie, oggi deceduto, non può smentire. Lo hanno fatto in compenso i suoi legali e la moglie, indignati, a loro dire, per l’ennesimo tentativo di inserire “Er Caccola” in queste vicende.  Uno dei primi a parlare di Delle Chiaie è il collaboratore di giustizia Stefano Serpa, uomo influente della ‘ndrangheta degli anni ’70 e ’80. Serpa colloca Delle Chiaie in Calabria al summit di Montalto, tenutosi in Aspromonte il 26 ottobre del 1969. Secondo taluni proprio per progettare il golpe Borghese.

La circostanza viene raccontata anche da Carmine Dominici, ex membro di spicco di Avanguardia Nazionale, poi divenuto collaboratore di giustizia: “Vi fu, nel settembre 1969, un comizio del principe Borghese a Reggio Calabria che fu proibito dalla Polizia. In quell’occasione c’era anche Delle Chiaie e il divieto da parte della Questura provocò scontri a cui tutti partecipammo. Vi fu anche un assalto alla Questura per protesta”. Non solo, anche Giacomo Ubaldo Lauro, uno dei collaboratori di giustizia chiave nel maxiprocesso “Olimpia”. Dal suo racconto: […] nell’epoca dei moti di Reggio, io capitai due volte detenuto nella stessa cella, lo presi con me a Carmine Dominici. Una volta perché aveva messo una bomba, e che poi è stato assolto da questa bomba e fece un paio di mesi, un’altra volta per il sequestro Gullì assieme a Domenico Martino. Dalla bocca di Carmine Dominici […] mi disse a parte che io lo sapevo già che “Er Caccola” non mi ricordo ora come si chiama dunque Delle, Delle Chiaie era stato a Reggio nel ’70 ospite, ospite suo di lui e di Fefè Zerbi».

Anche il nome del marchese Genoese Zerbi è stato, da sempre, tirato in ballo. Senza particolari sbocchi giudiziari, però. Stando al racconto di Lauro, Delle Chiaie ebbe contatti con la ’ndrangheta e, in particolare, proprio con Paolo De Stefano, in quel periodo capo della famiglia che, più di tutte, avrebbe modernizzato la ‘ndrangheta grazie ai suoi rapporti promiscui: “Nella seconda carcerazione […] io mi ritrovai detenuto dal ’79 e c’era anche lui. […] Da Dominici seppi che […] praticamente Fefè Zerbi fece conoscere a Delle Chiaie a Paolo De Stefano e ad altri […]”.

Un dato molto significativo, emerge dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna sulla strage della Stazione, per cui vengono condannati i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: “Stefano Delle Chiaie, invece, si muove con grande disinvoltura nell’Argentina dominata dal regime militare. Da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano. Reduce dall’esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l’apice della sua fortuna nel periodo in cui le forze governative argentine – il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari– appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano. Proprio nel periodo prodromico del golpe intensifica la frequentazione della Bolivia. E, dopo la realizzazione del golpe, ottiene addirittura una collocazione stabile e ufficiale presso lo Stato Maggiore dell’Esercito boliviano, quale assessore del VII Dipartimento: carica di tale importanza, che gli dava l’opportunita di incontri diretti con il Capo dello Stato […] Delle Chiaie comincia a prender quota in quello Stato, dove la polizia militare imperversa. Capo di Stato Maggiore della Marina è l’ammiraglio Massera, piduista e addirittura visitatore dello stabilimento industriale di Gelli in Castiglion Fibocchi. Licio Gelli ha stretti rapporti con i servizi argentini. […] La penetrazione del potere gelliano in Argentina, tende dunque ad assumere le medesime caratteristiche e ad attingere livelli non inferiori a quelli dell’analoga penetrazione nella realtà italiana». Per questo, scrivono infine i giudici di Bologna «il collegamento Gelli-Delle Chiaie non si presenta come una possibilità, più o meno plausibile, ma costituisce una necessità logica”.

Lo stesso Vinciguerra, nel corso degli anni, dichiarerà che timer dello stesso lotto di quelli impiegati per l’eccidio di Piazza Fontana erano stati utilizzati anche per “far saltare i treni che portavano gli operai a Reggio Calabria per una manifestazione sindacale”.

Interessante, sul punto, un atto giudiziario che infine è stato confermato e divenuto definitivo. Nella sentenza della Corte di Assise di Bologna del 11 luglio 1988, sulla strage della Stazione, viene affermato che: “Nello stesso volger di tempo, nell’ambito di altro procedimento pendente, avanti all’autorità giudiziaria milanese per l’affare Sindona, il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Turone e Colombo disponevano un sequestro nell’abitazione e negli uffici di pertinenza del capo della loggia massonica P2, Licio Gelli. In Castiglion Fibocchi, la Guardia di Finanza sequestrava, tra l’altro, oltre a una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era implicata […] Occorre rilevare sin da ora che risultarono iscritti nelle liste sequestrate fra gli altri, i seguenti nominativi: prefetto Walter Pelosi, capo del Cesis; generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi; generale Giulio Grassini, direttore del Sisde; generale Pietro Musumeci, capo dell’Ufficio Controllo e Sicurezza del Sismi”.

Per qualcuno, quel progetto eversivo non si è mai dissolto. L’attività della Loggia P2 continua con altri nomi, altri soggetti, altre entità. Provò a ricostruire altri fatti di quella lunga strategia eversiva anche l’inchiesta “Sistemi Criminali”, del giudice siciliano Roberto Scarpinato. Si è conclusa però in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, mafiosi come Totò Riina e i fratelli Graviano, ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste. Ma non arriverà nemmeno in aula, con l’archiviazione del fascicolo.

Rimangono, quindi, solo e soltanto i sospetti. Come per la strage di Bologna. 42 anni fa l’orrore. 42 anni dopo ancora tante domande sul ruolo che anche la ‘ndrangheta avrebbe potuto avere.

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