La nostra intuizione giornalistica si è quindi rivelata molto probabilmente corretta e centrata se, come scrivono oggi alcuni quotidiani (https://m.dagospia.com/la-leggenda-del-figlio-segreto-di-matteo-messina-denaro-il-suo-nome-e-francesco-e-avrebbe-18-anni-340478), il boss si recava dalle proprie amanti vestito da donna. Nel 2017, infatti, diffondemmo dei manifesti tappezzando la città di Palermo con un identikit di Matteo Messina Denaro in abiti femminili.
Una campagna di comunicazione che coinvolgeva altri big del crimine come Rocco Papalia, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Rocco Morabito, Raffaele Cutolo, Antonio Iovine, Francesco Schiavone, Michele Zagaria, Giacomo Di Lauro, Paolo De Stefano, Gennaro Pulice, Domenico Bonavota, Luigi Molinetti, il super narcos Nicola Assisi, il Boss di San Luca Domenico Giorgi e tanti altri. Ora si ipotizza che il boss si vestisse da donna e da prete per spostarsi o recarsi dalle sue amanti.
Noi avevamo ben chiare queste dinamiche indagando sulla ‘Ndrangheta. Ma ci sono molte altre evidenze su questo nodo nelle mafie, molti altri lati che non sono mai stati raccontati, anche perché forse a volte ci si alimenta, pure nello Stato, di pregiudizi e luoghi comuni.
Applicare i propri pregiudizi e proiettarli sull’oggetto delle proprie analisi può essere fuorviante. Proprio per uno di questi manifesti dei boss in versione “woman”, Klaus Davi è stato rinviato a giudizio dalla Procura di Milano perché i Pm hanno giudicato l’affissione raffigurante Rocco Papalia in versione drag queen “lesiva” della reputazione del boss.
La prima udienza del processo si è svolta venerdì 20 gennaio a Milano. Klaus Davi è difeso dagli avvocati Eugenio Minniti e Simona Giannetti.