I telai progettati nel 1860 sono ancora funzionanti e costituiscono il parco museale dell’azienda fondata nel 1873, ma oggi il lanificio Leo, la piu’ antica manifattura tessile di Calabria, e’ un’azienda all’avanguardia che opera in un mercato di nicchia utilizzando tecniche di lavorazione e di design fra le piu’ avanzate. Si trova a Soveria Mannelli, nel cuore della Presila, tra le province di Catanzaro e Cosenza, e occupa una decina di persone. Ha 10 punti vendita gestiti direttamente fra la Calabria e il resto del Paese, ma grazie alla collaborazione con giganti della grande distribuzione come la Rinascente, i suoi lavorati si trovano in Italia ed hanno un mercato anche all’estero.
Leo realizza piccoli accessori di moda: sciarpe, guanti, cappellini, plaid, ma anche accessori per la casa e prodotti timeless. Un vero e proprio “brand” il cui fatturato, assicura all’AGI Emilio Leo, rappresentante legale dell’azienda e direttore creativo, e’ ancora modesto, ma con potenzialita’ di crescita notevoli. Il Lanificio Leo e’ al tempo stesso testimonianza del passato industriale della Calabria, venuto meno subito dopo l’unita’ d’Italia quando nel comprensorio c’erano 40 laboratori che lavoravano la lana merinos proveniente dagli allevamenti ovini della zona, e la voglia di emergere di un territorio che vanta realta’ rinomate come la casa editrice Rubbettino e la Sirianni, azienda leader nella produzione di arredi per le scuole.
L’azienda fu fondata dal bisnonno di Emilio, Antonio Leo, a Carlopoli, un centro prossimo a Soveria, dove poi fu trasferita per trovare nuovi spazi. Emilio Leo e’ architetto e ha trasferito nell’azienda di famiglia la sua competenza. “Qui abbiamo decine di aziende – spiega -. Ci sono dei tassi decisamente anomali rispetto alla Calabria. Da Soveria bisognerebbe prendere l’idea che la produzione e il recupero della capacita’ di fare deve essere portata nei territorio. Cento o 150 anni fa non c’era territorio in Calabria che non avesse una produzione. Si puo’ discutere di come far evolvere queste produzioni, ma bisogna prima recuperare lo spirito e la capacita’ di pensare che in ogni posto, assecondando alcune vocazioni, talvolta anche inventandole, si possono creare nuove tradizioni”.
E’ quello che il bisnonno di Emilio fece 150 anni fa, quando intui’ che la presenza di allevamenti di pecore merinos poteva rappresentare un potenziale business. “L’idea – dice oggi il pronipote – era offrire un servizio attraverso la produzione del filo, un po’ come un frantoio della lana. L’intuizione e’ stata giusta perche’ il nostro e’ stato il primo impianto industriale della zona. Poi ne furono realizzati altri nell’arco della prima meta’ del ‘900 fino a diventare quasi 40 negli anni sessanta. A partire degli anni ’70 ci fu un’inversione di tendenza perche’ si punto’ sulla conversione degli allevamenti puntando sull’industria lattiero-casearia”.
Non c’erano piu’ le pecore merinos con la loro lana, ma il lanificio Leo resistette, piu’ che altro come azienda commerciale. “Il mondo era andato troppo avanti – dice Leo – . Non ci fu la capacita’ di fare squadra e chiusero tutti gli stabilimenti. Oggi il nostro e’ un luogo della memoria industriale, una piccola cattedrale laica, ma anche un luogo dove a un certo punto, dopo 20 anni di fermo imprenditoriale, siamo ripartiti. Io ero il piu’ piccolo della famiglia. Tocco’ a me, dopo la laurea, prendere le redini dell’azienda e capii che per rilanciarla bisognava ripartire dall’impresa”.
La chiave di volta fu il matrimonio con l’arte. “Abbiamo costruito un modello culturale, un festival di arte contemporanea – spiega ancora Emilio Leo – che per 10 anni ha portato qui musicisti, artisti, puntando sul design. Mio padre era la cerniera con un mondo che non esisteva piu’, aveva la capacita’ di far funzionare macchine che oggi non rispondono piu’ agli standard di legge. Tra gli ani ’70 e ’90 i miei cugini, che erano molto piu’ grandi di me, decisero di non investire. E cio’ proprio quando sarebbe stato piu’ facile fare il salto puntando sulle tante risorse disponibili come quelle della Cassa del Mezzogiorno, passando dall’azienda di servizio ad azienda orientata al prodotto e al mercato. Oggi, nonostante il nostro posizionamento internazionale, siamo ancora lontani dalla possibilita’ di avere un’economia di scala tale da riattivare la materia prima sul territorio. sarebbe un partita gigantesca dal punto di vista economico”.
Era il 2008 quando Emilio Leo rifondo’ il ramo imprenditoriale del lanificio investendo in tecnologia. Oggi e’ alla guida di un laboratorio artigianale lontano dalla dimensione industriale del passato. “E’ una sorta di prototipo, una start up in un corpo ottocentesco – aggiunge Leo – ma in una sorta di continuita’ pur lavorando molto sulla discontinuita’. Non ci siamo mai seduti sull’idea della nostalgia. Abbiamo capito che si poteva riattivare l’impresa su basi nuove, partendo dall’esistente. Con poche risorse abbiamo rivitalizzato l’esistente”.
Alla base, dunque, c’e’ una filosofia aziendale centrata sulla rivalutazione della tradizione al fine di creare manufatti in cui l’identita’ territoriale si integra con il design moderno, generando collezioni innovative che raccontano una storia. Un luogo del sapere oltre che una fabbrica, grazie a nuovi apporti creativi e al dialogo con le arti visive. Un esperimento artistico-imprenditoriale riuscito che sul sito dell’azienda e’ sintetizzato cosi’: “I nostri manufatti raccontano di un patrimonio di saperi e abilita’ lontane, di passione e sogno, e danno forma alla memoria di idee semplici e funzionali che si trasformano in oggetti di raffinata contemporaneita’. Le antiche macchine insieme alle piu’ recenti tecnologie e la sapienza dell’insostituibile lavoro manuale, si muovono al ritmo di idee nuove, creando prodotti contemporanei che rispettano la tradizione”.
Fonte: AGI