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GdF Bologna esegue 23 misure cautelari e sequestra patrimonio da 30 milioni tra Emilia Romagna e Calabria per bancarotta, estorsioni, violenza e minacce

Eseguite dalla Guardia di Finanza di Bologna – tra Emilia-Romagna e Calabria – 23 misure cautelari personali e sequestrato un patrimonio da 30 milioni nei confronti di soggetti, affiliati alla ‘Ndrangheta, indagati per bancarotta fraudolenta, estorsioni, violenza e minacce. Nel dettaglio, un centinaio di militari del Comando Provinciale di Bologna, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e l’aiuto di personale dei Comandi Provinciali di Milano, Forlì-Cesena, Reggio-Calabria, Vibo Valentia e Chieti, stanno eseguendo misure cautelari personali a carico di 23 persone considerate affiliate alle ‘ndrine dei ‘Piromalli’ di Gioia Tauro e dei ‘Mancuso’ di Limbadi e procedendo anche al sequestro di conti correnti, beni immobili e quote societarie per 30 milioni.

E’ stata fatta luce “su infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate in Calabria”. E’ quanto emerge dall’operazione che stamane ha portato un centinaio di militari del Comando Provinciale di Bologna, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza e con l’ausilio di personale dei Comandi Provinciali di Milano, Forlì-Cesena, Reggio-Calabria, Vibo Valentia e Chieti, ad eseguire misure cautelari personali a carico di 23 persone – affiliate alle ‘ndrine dei “Piromalli” di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e dei “Mancuso” di Limbadi (Vibo Valentia) – e sequestrare conti correnti, beni immobili e quote societarie per 30 milioni di euro circa tra le province di Roma, Milano, Brescia, Bologna, Monza, Modena, Piacenza, Forlì-Cesena, Reggio Emilia, Vibo Valentia e Reggio-Calabria. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Bologna, Domenico Truppa, su richiesta della locale Dda nella persona del Sostituto Procuratore Marco Forte. Le indagini, eseguite dagli specialisti del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Bologna, con il supporto dello Scico e la direzione della Procura della Repubblica, rientrano nell’operazione convenzionalmente denominata “Radici”, che ha preso le mosse dal monitoraggio di cospicui investimenti immobiliari e societari riconducibili a soggetti di origine calabrese. E’ stata così fatta luce, ritengono gli inquirenti, su infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate in Calabria (da qui il nome dell’operazione).

Gli investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena emergenza Covid-19, hanno riguardato, nel tempo, esercizi commerciali situati principalmente lungo il litorale romagnolo e operanti in variegati settori economici, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria. Dopo mesi di complesse investigazioni è emersa la presenza nel territorio regionale di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da personalità di spicco, con propri interessi economici e, soprattutto, provvisto di legami con diverse famiglie e mandamenti della “casa madre” in Calabria, spesso menzionati nelle varie conversazioni captate. Grazie al ricorso a indagini tecniche, telefoniche e ambientali, oltreché all’esame di oltre un centinaio di rapporti bancari, è stato documentato un vorticoso giro di aperture e chiusure di società che, formalmente intestate a soggetti prestanome, venivano utilizzate come “mezzo” per riciclare denaro, ovvero per consentire l’arricchimento dei reali dominus, il tutto mediante sistematiche evasioni fiscali perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, sovente preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali, con palese noncuranza delle possibili conseguenze in termini di procedure fallimentari. Gli illeciti, evidenziano gli inquirenti, si sono consumati in un contesto criminale connotato da ripetuti episodi di intimidazione e minacce, oltreché, in alcuni casi, di vere e proprie violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati (o hanno tentato di farlo) di aderire alle richieste dei sodali.

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