Riceviamo da Demetrio Martino* e pubblichiamo
“Bologna, 2 agosto 1980, ore 10:25. Ho vissuto e visto l’apocalisse. Per motivi di lavoro quel giorno mi trovavo a Bologna e fino alle 10:20 di quel giorno ero seduto nella sala di aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, dove esplose il potente ordigno che provocò oltre 90 morti e centinaia feriti. Quando scoppiò l’ordigno ero a poche centinaia di metri dalle sale distrutte. La mia immediata sensazione fu che quell’assordante esplosione fosse dovuta al passaggio a bassa quota di un aereo militare. Non so perché, ma il mio pensiero andò ad Ustica, all’abbattimento dell’aereo, alla strage dei suoi passeggeri. Dopo qualche momento di smarrimento mi ritrovai a correre, insieme a tanta gente, fin quando mi venne incontro l’immondo fungo di fumo che si alzava dalla stazione. Rimasi immobile non so per quanto tempo. Il fotogramma successivo è un vuoto: lì dove solo qualche minuto prima esisteva parte della stazione regnava un innaturale silenzio che aveva coperto la chiassosa vita pulsante di sempre. Mi precipitai fra fumo, detriti e urla insieme a tanti cittadini nel tentativo di prestare soccorso ai colpiti dall’esplosione. Dapprima si disse che erano esplose le caldaie dell’attiguo ristorante. Si seppe solo dopo dell’esplosivo e che la bestiale strage era stata perpetrata da un gruppo di fascisti con la supervisione della massoneria deviata e la copertura dei nostri servizi segreti che, protagonisti in negativo di tutta la sanguinosa stagione stragista collegata alla strategia della tensione, hanno depistato, confuso e stravolto ogni tentativo di dare letture e risposte credibili rispetto ai perché e ai mandanti della strage del 2 agosto 1980. La verità per quei fatti terribili è chiesta a gran voce ormai in ogni celebrazione in memoria delle vittime, incessantemente da oltre 40 anni. Io ero presente, ho visto e toccato il sangue, i feriti, la morte. Uno squarcio profondo sanguina in me: ho sentito sulla pelle la bestialità umana. Le istituzioni preposte a distanza di 42 anni non hanno voluto o saputo dare risposte certe ed esaustive. In memoria di quelle vite spezzate, dei familiari inconsolabili, diventa quasi impossibile non dire che mi vergogno di essere italiano”.
*Già Consigliere comunale del Comune di Reggio Calabria