Riceviamo e pubblichiamo:
Egregio Direttore,
dall’analisi pubblicata sulla sua testata il 22 novembre, traggo e condivido in pieno con Lei, che le miriadi di assoluzioni avvenute recentemente possano aver generato nella mente del cittadino medio (quale io sono), la sensazione che “tutto è ndrangheta-niente è ndrangheta”, ma la sua riflessione potrebbe minare la credibilità delle istituzioni.
Mettiamo da parte le centinaia di persone che per anni sono state violentate non solo mediaticamente per poi essere assolte, tanto sono colpevoli comunque, ma la giustizia non si fonda solo su inchieste imbastite da una procura della repubblica (il singolare è voluto) con magistrati a caccia di visibilità, ma da un sistema che garantisca il cittadino come da costituzione.
Per cui, dal suo articolo, qualcuno poco avvezzo come chi scrive, potrebbe essere indotto a ipotizzare che le corti d’appello o le corti di cassazione siano inadeguate o peggio colluse. E questo è molto grave e potrebbe essere un problema.
Instillare questo tarlo è ancora più grave di correre il rischio di minimizzare sulla ‘ndrangheta perché le istituzioni si devono salvaguardare tutte, non solo quelle che le aggradano come le procure della Repubblica. Capisco che il binomio giornalista-pubblico ministero a caccia di scoop e’ consolidato ma non si minano i sistemi democratici perché le sentenze non sono gradite.
La cultura del pregiudizio, della presunzione, delle pressioni ritorsive ed estorsive, sono il substrato adatto alla nascita di fenomeni che noi calabresi conosciamo bene e non accetto che anche le istituzioni (Lei essendo giornalista ne fa parte) si adeguino a questi metodi.
Dal suo articolo si dedurrebbe l’inadeguatezza o peggio l’inutilità delle Corti d’Appello e di Cassazione, per cui potremmo proporre al Ministro di Grazia e Giustizia di introdurre una norma per la loro soppressione.
Se tra il “correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente” o i “molti assolti non sono innocenti, ma colpevoli che l’hanno fatta franca”, io senza esitare un solo istante sto con Voltaire.
E lei, da quanto deduco starà con Davigo.
Disponibile per qualsiasi confronto
Distinti saluti
Pasquale De Benedetto
P.S. Comprendo che queste righe sono non gradite ma per correttezza deontologica meriterebbero di essere pubblicate. Decida lei.
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Nota del Direttore
Gentile Pasquale,
la ringrazio per la sua lettera. Ammetto di aver abbozzato una risposta. Ma poi ho desistito notando i suoi timori sul fatto che il suo intervento potesse non essere pubblicato. Questo, quindi, mi ha indotto a pensare che lei abbia capito poco del mio editoriale e della mia persona. Ora che il suo (risibile) timore di essere censurato è evaporato nella inconsistenza, non posso che consigliarle di rileggere meglio il mio articolo che tentava (invano, evidentemente) di elevare il livello di confronto su questo territorio. Sono certo che lo capirà meglio. E vedrà che di Davigo, di manette, di Corti d’Appello, a me interessa davvero molto poco.
La ringrazio e spero possa continuare a seguirci.
Claudio Cordova