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10 anni fa, Il Dispaccio

di Claudio Cordova – 10 anni sono tanto nella vita. Si cambia tanto. E cambiano molte cose. Ne sono cambiate davvero tante da quel 2 aprile del 2012. Fu quello il primo giorno di pubblicazioni del Dispaccio. Oggi, questo giornale indipendente compie 10 anni. Un traguardo che, forse, nemmeno io nel 2012 pensavo di tagliare. Ma che oggi mi riempie d’orgoglio.

Perché spesso, per conformismo, pecchiamo tutti di (falsa) modestia. Invece, forse, dovremmo prenderci un po’ tutti i meriti che abbiamo. Restare online, con un progetto e un’idea sostenibili, per tutto questo tempo e su un territorio come quello calabrese, è qualcosa di grande. Abbiamo resistito. Abbiamo superato anche momenti difficili. E, giorno dopo giorno, abbiamo costruito questa realtà.

Se, infatti, risalgo col pensiero alla stagione in cui siamo nati e se ripercorro, poi, il cammino così irto di ostacoli e di difficoltà che ci ha condotti fino ad oggi, il tempo si allunga a dismisura. Il Dispaccio ha accompagnato la mia vita, i miei studi. Ho pubblicato libri mentre Il Dispaccio era lì. Ho vissuto e lavorato in Messico. E da lì ho aggiornato Il Dispaccio. Certe cose non possono non diventare una parte di noi.

Noi che, giovanissimi, ci ritrovammo a dover affrontare e raccontare, pochi mesi dopo la nascita, un evento storico (nella sua ignominia) come lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria per contiguità con la ‘ndrangheta.  Un fatto è certo: nell’aprile del 2012, quando, quella tale mattina, iniziammo ad aggiornare questo foglio elettronico, eravamo giovani. E i nostri lettori così scarsi da contarsi sulle dita di due mani. Oggi, a dieci anni di distanza, siamo una testata giornalistica che, negli anni, ha raggiunto cifre di audience importanti.

L’unione non fa la forza, d’accordo: forse non la fa mai.

Ma adesso, eccoci qui, confortati oltretutto dalla consapevolezza di aver formato tanti colleghi, nel corso di questi anni. Felici di non aver reso felici i nostri tanti nemici che, più volte avranno sperato di vedere la parola fine sull’esperienza del Dispaccio. Un’esperienza più unica che rara. Quasi miracolosa, visto il territorio che viviamo.

Senza un editore alle spalle. Senza essere stati foraggiati (soprattutto negli anni d’oro della politica) da cospicui flussi di denaro pubblico. Senza aver ceduto a quella deriva “acchiappaclick” delle notizie “shock” (che poi shock non sono…), dei titoli misterizzati per invogliare alla lettura, delle notizie non-notizie. Tutte logiche redditizie, per carità.

Ma il Giornalismo è un’altra cosa.

Essere liberi ci ha permesso, negli anni, di poter condurre battaglie importanti. Quasi sempre solitarie. Dal racconto, sempre diretto e non edulcorato, sulla ‘ndrangheta. Agli articoli sui collegamenti tra la criminalità organizzata e la politica o la sanità. I retroscena sugli intrighi massonici che soffocano questa terra. Alle inchieste sui “falsi pentiti”, dove aleggiavano oscure ombre istituzionali. Passando per la pubblicazione delle chat di Luca Palamara, con il degradante spaccato della magistratura calabrese. Oppure le prese di posizione sul branco di Melito Porto Salvo. “Nove cazzi piccoli” titolammo, per definire quel manipolo di giovani, dove c’era anche il figlio del boss, che si approfittarono di una minorenne. E, proprio recentemente, anche le inchieste sul presidente della Reggina e su come sarebbero state sfruttate tante persone.

Scelte che hanno portato conseguenze. Che abbiamo affrontato e che affrontiamo tuttora. Con la dignità di sempre.

Ce lo siamo potuti permettere proprio perché siamo liberi. E, quindi, autorevoli. Nonostante chi ci voglia denigrare lo dica spesso: “Siete solo un giornale locale con giornalisti locali”. La risposta è negli “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini, che sostiene: “Ho sempre pensato che dietro a chi scrive ci debba essere necessità di scrivere, libertà, autenticità, rischio […] Io non ho alle spalle alcuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca”.

E questo ci porta ai ringraziamenti. Ai nostri lettori, in primis. Abbiamo sbagliato chissà quante volte. E molti di più saranno gli errori futuri. Ma lo abbiamo sempre fatto per conto nostro. Non li abbiamo mai ingannati. Proprio in ossequio a quel patto firmato il 2 aprile 2012.  Non possiamo non ringraziare anche chi ci ha permesso di rimanere indipendenti. I nostri inserzionisti, la nostra struttura pubblicitaria. Che lavora sempre anche tenendo conto di quel “consumo critico” che, in un territorio di ‘ndrangheta è fondamentale se non ci si vuole legare un cappio al collo.

E, ovviamente, il ringraziamento più grande non posso che farlo alla Redazione del Dispaccio. Quella attuale e quelle passate. Se io ho potuto, talvolta, ricevere anche dei complimenti è certamente perché ho potuto contare e conto su una squadra di persone straordinarie. Che hanno lavorato giorno e notte anche in periodi difficili e alienanti come quelli del lockdown. Una Redazione che non cambierei con nessun altra.

Il loro lavoro mi ha permesso di superare anche momenti di sconforto. Momenti in cui, forse, siamo anche stati vicini a fare felici i nostri nemici. A girare, definitivamente, una bella pagina. E così chiudere un libro. A volare via, lontano. Ad accettare una nuova sfida o una nuova esperienza. A cedere a qualche lusinga da parte della politica. La verità è che forse, in quel momento, sarebbe anche piaciuto.

Ma a volte “la verità non basta. A volte la gente merita di più. A volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata”.  E questo vale per i lettori, che ci hanno scelto e ci scelgono. Per chi ha sempre pensato che facessimo quello che facciamo senza secondi fini. E vale, ancor di più, per i colleghi che hanno creduto e credono nel Dispaccio.

Oggi, quindi, a distanza di 10 anni, rilanciamo la nostra sfida. La sfida per un’informazione libera. Non omologata. Proprio in un periodo in cui, purtroppo, le nostre infide istituzioni locali hanno portato a una normalizzazione del racconto e della narrazione. Soprattutto quando c’è la ‘ndrangheta di mezzo.

Invece serve un’informazione d’avanguardia. Di cui ci si possa fidare. In uno dei momenti più squallidi della storia politica, giudiziaria e sociale di questo territorio. Lo facciamo anche simbolicamente. Come avete visto, nelle ultime 24 ore, il nostro giornale si è rifatto il look. Una ricorrenza del genere dovevamo infatti festeggiarla e celebrarla degnamente.

Perché pensiamo che investire su noi stessi sia la cosa migliore. La più giusta. Per continuare a correre. Per quanto tempo, davvero non lo so. Ma meglio così: non lo sapevo nemmeno quel 2 aprile del 2012.

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