“Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo” - Jean-Paul Sartre
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La (provvisoria) fine ingloriosa di Giuseppe Falcomatà

FALCOMATa-GIUSEPPEdi Claudio Cordova – Fastidio. Anche un po’ di disagio. Forse una vaga sensazione di nausea. Non di certo per la condanna del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà nel “Caso Miramare”. Si tratta solo di una condanna di primo grado. Quei sentimenti riguardano un po’ tutto il resto.

Uno dei più bei cartoni della Disney, Robin Hood, aveva, tra le splendide musiche, questa canzoncina: “Ogni città, qualche guaio ha… ma qua e là, c’è serenità… ma non a Nottingham”. Ebbene, Reggio Calabria è proprio come la Nottingham schiacciata dall’imbelle Principe Giovanni e dallo squallido sceriffo. E’ in un coma tra i più irreversibili.

Reggio Calabria è una città senza vitalità culturale. E’ morta da tempo. E non c’entra il Covid. Il confronto, il dibattito, la dialettica. Sono tutte cose morte da anni ormai. Reggio Calabria è una città triste. Basta vedere l’estate trascorsa, in cui, se non avesse fatto molto caldo, davvero non si sarebbe avvertito il clima vitale e gioviale proprio della stagione estiva. Schiacciata da una ‘ndrangheta che continua a essere forte. Anche se si è quasi smesso di parlarne. Anche per colpa di una pessima magistratura. Umiliata da politici scadenti, da una classe dirigente incapace e, spesso, corrotta. E allora quei sentimenti di cui sopra non sono certo per la condanna a un anno e quattro mesi. Il “Caso Miramare”, nei fatti, era quasi bagattellare. Ma era ed è sintomo e simbolo di un modo di fare politica pessimo. Che, quando Giuseppe Falcomatà si è candidato per la prima volta, dopo gli anni del “Modello Reggio” e l’ignominia dello scioglimento del Comune, qualcuno pensava potesse essere andato via.

E invece no.

Ancora e ancora. Quella convinzione che, conoscendo la persona giusta, tutto possa essere consentito. Come nel caso dell’imprenditore Paolo Zagarella. Uno di quelli che, nonostante l’età, non si rassegna e non vuole dire basta alle serate danzanti. Ma, sempre in tema di citazioni dotte, “dopo i 40 anni, in discoteca sei figo solo se la discoteca è la tua”. E’ vero che l’assegnazione di una parte dell’ex albergo “Miramare” non comportava alcun esborso per il Comune di Reggio Calabria. Come hanno ripetuto a cantilena tutti gli imputati (condannati in primo grado).

Ma è anche vero che non si amministra così.

E questo, chi ha un po’ di onestà intellettuale tra le persone coinvolte, potrebbe anche dirlo. Non si “regalano” i beni comunali, seppur temporaneamente, seppur in parte, seppur senza esborsi, agli amici. Perché di questo si trattava. Chiunque conosca, un minimo, la città, sa del rapporto esistente e datato tra Falcomatà e Zagarella. Anche se tutti gli imputati hanno continuato (con la solita cantilena) a dire di non esserne a conoscenza. Ma, del resto, tra le tante imbarazzanti testimonianze e deposizioni, in aula c’è stato anche chi – professionista e assessore comunale – ha detto di non sapere chi sia l’imprenditore Montesano a Reggio Calabria…

E allora quei sentimenti di cui sopra non sono di certo per una sentenza di primo grado. Ma per aver toccato con mano, per molti mesi, la pochezza di chi amministra la Cosa Pubblica. E questo è molto più grave e frustrante di qualsiasi sentenza. Di qualsiasi pronuncia dei giudici. Soprattutto dei giudici di questi anni.

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Così come è fastidiosa l’ipocrisia di un sindaco che, appena condannato, dichiarava ai giornalisti di non avere ancora chiaro il da farsi sulla nuova Giunta (leggasi, nuovo vicesindaco), quando invece, neanche un’ora prima, aveva provveduto a firmare la nomina. Poco dopo le 14. Nella pausa pranzo che precedeva la condanna.

Perché, allora, non agire settimane fa. Per la dignità di tutti. Non solo dell’azione, che avrebbe potuto avere una qualche parvenza politica. Ma anche dei soggetti coinvolti. Della città stessa. Qui forse si tocca l’apice dello sconcerto. La corsa frenetica, prima di essere raggiunto dal provvedimento di sospensione da parte del prefetto, in forza della Legge Severino, di piazzare le pedine “giuste” al posto giusto. Anche per salvare la sua maggioranza che, negli ultimi giorni, aveva mostrato qualche pericoloso scricchiolio. 

Come un oligarca che capisce che il suo tempo è finito, che il nemico è alle porte e, quindi, si sbarazza dei documenti riservati.

Sì perché, guardandosi attorno, un po’ di “yes man” erano stati spazzati via dalla sentenza del Tribunale presieduto da Fabio Lauria. Dall’amico di studio (e di serate danzanti), Armando Neri. Allo sceriffo Giovanni Muraca, il “mastro di chiavi” che, da ufficiale di polizia, avrebbe spalancato le porte del “Miramare” (evidentemente abusivamente) a Zagarella.

E allora ecco le new entry. Alla Città Metropolitana il vicesindaco è tale Carmelo Versace. Uno che, fino a pochi mesi fa, mandava i comunicati stampa ufficiali da una mail con la dicitura “carmelove”. Ma c’è di peggio. Perché al posto di una personalità come Tonino Perna, chi è il prescelto così meritevole da guidare l’Ente decapitato dal suo primo cittadino? Quale politico esperto? Quale grande intellettuale o esperto di amministrazione pubblica?

Paolo Brunetti.

Sì, avete capito benissimo. Il renziano (già questo sommuove un po’ l’intestino) che negli anni ha avuto le deleghe a Depurazione, Ambiente e Ciclo Integrato dei Rifiuti. In una città che patisce una cronica carenza idrica, in cui vi sono zone letteralmente sommerse dai rifiuti e in cui la pulizia generale e il decoro urbano sono un’utopia.

Ebbene, tutto questo vale una promozione.

Eccolo il fastidio. Eccolo il disagio. Eccola la nausea. Per un giovane, Giuseppe Falcomatà, che si è comportato e si comporta come il peggiore dei vecchi. E questo a prescindere dalla condanna. Che è di primo grado. E che, per ora, serve solo a disarcionarlo. In attesa del probabile ricorso contro la Legge Severino.

E, però, in questo panorama non di certo lusinghiero, una chiosa negativa la merita proprio lo stesso Tonino Perna. Abbiamo già espresso il nostro parere sullo spessore, soprattutto se confrontato all’imbarazzante Brunetti. Ma perché accettare di essere degradato? Come un ufficiale che ritorna caporale. Perché accettare di rimanere in Giunta? Perché prestarsi a questo gioco squallido?

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