“Con l’approvazione in Senato del DDL Calderoli, avvenuta lo scorso 23 gennaio, l’iter di attuazione del progetto, a trazione leghista, dell’autonomia differenziata, è arrivato ad un giro di boa. Il disegno di Legge Calderoli che ha come obiettivo quello di attribuire alle regioni a statuto ordinario una maggiore autonomia legislativa in ben venti materie oggi di competenza legislativa concorrente (cioè di competenza dello Stato centrale e delle regioni), incassando il si di 110 senatori favorevoli, subisce nel suo iter verso la definitiva approvazione una forte accelerazione, che solleva da più parti forti perplessità e preoccupazioni. Il disegno di autonomia differenziata, per come è stato congegnato, propone una significativa redistribuzione dei poteri e delle risorse in diversi settori, alcuni dei quali di importanza strategica per lo sviluppo dei territori. Le regioni potranno dunque negoziare con lo Stato l’attribuzione di nuovi poteri e prerogative e parallelamente alle competenze potranno anche trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più ridistribuito a livello nazionale in base alle necessità collettive, ma a livello regionale. Ciò che si cela dietro questo progetto che è stato dal centro destra salutato come una grande vittoria, in realtà è l’elevato rischio che aumenti l’iniquità esistente fra i territori e si inneschi, in questo modo, un sistema che anziché farle diminuire, aumenterebbe le diseguaglianze fra regioni del nord e regioni del sud. E il rischio è insito nella formulazione stessa del disegno di legge che subordina l’attuazione dell’autonomia differenziata alla preventiva definizione e cristallizzazione dei c.d. LEP, ovvero livelli essenziali di prestazione previsti dalla Costituzione e riguardanti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti a tutti i cittadini, in maniera equa su tutto il territorio. Ma i Lep non possono essere assicurati da un giorno all’altro, perché per assicurarli occorre eliminare i divari oggi esistenti nei servizi offerti ai cittadini da nord a sud, e per eliminare tali disparità sono necessarie le risorse. Ma senza risorse e dunque senza la certezza di una convergenza dei livelli dei servizi, maggiori poteri alle autonomie locali, rischia di tradursi nel pericolo incombente di aumentare le disparità sociali e territoriali, favorendo le regioni del nord, più ricche e in grado di garantire uniformità di servizi, a discapito delle regioni del sud, più povere e con servizi garantiti a macchia di leopardo. La mancanza di un quadro uniforme che stabilisca a priori quali debbono essere le prestazioni essenziali, rischia di portare ad un indebolimento della coesione e dell’unità. Con una raffigurazione del paese che vedrà ampliare le sue diseguaglianze, con regioni che potranno beneficiare di servizi uniformi e di alta qualità, e regioni costrette a subire una drastica riduzione di servizi anche in quei contesti dove garantirli al minimo è già una fortuna. Il progetto di decentramento e devoluzione di potere decisorio desta molte perplessità per le conseguenze che potrebbero derivarne, se prima non ci si preoccupa di livellare le prestazioni e i servizi. Partendo da una situazione di sperequazione è inevitabile che chi ha di più continuerà ad avere di più e chi ha di meno continuerà ad avere di meno. Decentrare materie importanti come le grandi infrastrutture, i porti ed il sistema dei trasporti, ad esempio dimostra che l’intento del governo è quello di scardinare l’unità nazionale, valorizzando le diseguaglianze a beneficio dei territori più ricchi e già ben dotati di infrastrutture e reti di servizi eccellenti. Pensare ad una programmazione infrastrutturale e gestione delle reti di trasporto a livello regionale e non più nazionale, con connesso passaggio delle infrastrutture logistiche ma anche delle risorse e del personale, significa aumentare il rischio della frammentazione. Significa rischiare di favorire uno spezzettamento dei trasporti tra le regioni, significa creare un vulnus negli investimenti, molti dei quali basati su fondi di investimenti nazionali che dovranno necessariamente essere ridistribuiti. E il rischio è che le regioni del sud, e la Calabria in particolare continui ad essere scippata di infrastrutture essenziali per garantire il diritto alla mobilità dei suoi cittadini, come l’Alta Velocità che rischia di non arrivare neanche a Praia, il che vuol dire escludere completamente la nostra regione. Questo quello che viene fuori dalla relazione conclusiva del dibattito pubblico sul lotto della nuova Alta Velocità Romagnano – Praia che alla domanda su quando entrerà in funzione il lotto fino a Praia, riceve dai tecnici Rfi come risposta “ad oggi non lo sappiamo. I fondi per arrivare fino a Praia non ci sono”. Al danno la beffa verrebbe da dire. Della serie illusi e disillusi. E così si continua a prendere in giro i Calabresi, e tutti i cittadini del sud costretti a subire le conseguenze di una distribuzione delle risorse che purtroppo guarda al nord, e non al sud. E poi parlano di perequazione dei servizi. Per arrivare a questa perequazione ce ne vuole ancora, e i Calabresi lo sanno e lo vivono tutti i giorni sulla loro pelle. Dovrebbero saperlo anche i parlamentari calabresi di centro destra che, in nome di un servilismo partitico hanno voltato le spalle alla loro terra e votato a favore di una legge che condanna il mezzogiorno a vivere condizioni di marginalità che ci sembra votata a rimanere eterna, a discapito delle future generazioni che si sentiranno così sempre più legittimati ad abbandonare la loro terra”.
Lo afferma in una nota Franca Sposato, responsabile Trasporti in segreteria regionale.