di Paolo Ficara – L’occhio dell’esperto. Tra tutti gli ex Reggina che stanno presenziando sugli spalti del “Granillo”, il mister Nevio Orlandi è forse colui che rimane più in disparte. Ha seguito dal vivo diverse gare interne della Reggina, ed ai microfoni di Reggina Talk ha analizzato il momento degli amaranto.
“Sicuramente il modulo ha dato la giusta contezza di quello che è il valore di questa squadra – ha subito evidenziato mister Orlandi – Questo 4-3-3 lascia ben sperare per il futuro. Il discorso degli under, nel caso della Reggina, è un mezzo problema. Quando si imposta un campionato di Serie D, gli under devono essere bravi e ne servono almeno sei o sette. Nel momento in cui già ne hai pochi, se i ricambi non sono all’altezza dei titolari, può essere un problema”.
Nevio Orlandi risponde così, alla domanda su chi sia favorito per vincere il girone I: “Le squadre che in questo momento sono sopra, possono arrivare fino alla fine. Il Siracusa ha forse qualcosa in più. Però, tante volte lo squadrone non basta. Ci può essere sempre una mezza sorpresa. L’Akragas? Ad Agrigento si è vista tanta confusione, sia in campo che come società. Hanno cambiato l’allenatore, poi Rigoli stava mollando perché non andava bene ad alcuni calciatori, stando a ciò che si legge. La società non mi sembra forte”.
Con Orlandi, che della Reggina è stato allenatore ma anche brillante osservatore, il discorso è poi scivolato sullo scouting ed in particolare sulla scoperta di Cristhian Stuani: “La Reggina dell’epoca, aveva un gran numero di osservatori sia in Italia che in Europa o in Sud America. Stuani? Avevo iniziato da otto o nove mesi con lo scouting, per volontà di Foti, assieme ad Albertino Bigon. In Brasile, il nostro referente era Ricardo Alemao. Nello specifico, Stuani era già stato segnalato. In quel periodo, con l’occasione di fare un discorso sul settore giovanile, c’era stato modo di seguire Stuani e dare conferma su quel che poi si è dimostrato il ragazzo. E’ venuto a Reggio ancora giovane, andava probabilmente aspettato. Era la prima esperienza in un calcio europeo, aveva bisogno di tempi fisiologici. Fatto sta, che poi ha dimostrato il proprio valore nel campionato spagnolo. Nel Danubio segnava molto, ma in Uruguay c’erano marcature lente: andava abituato alle dinamiche del nostro calcio”.