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Reggio al bivio. Gaetano Tramontana: “Borghesia ha coltivato proprio orticello”

tramontanagaetanodi Daniela Liconti – Da quattordici anni Gaetano Tramontana, direttore di Spazioteatro, è impegnato nella difficile ed entusiasmante compito di promuovere la bellezza di questa forma d’arte attivando laboratori, seminari e produzione di spettacoli. Da qualche anno Spazioteatro si rivolge anche a bambini e ragazzi, con workshop e intere rassegne a loro uso e consumo, attraverso cui si veicolano anche non pochi messaggi sociali oltre che educativi. E’ da qui che bisogna iniziare per garantire la sopravvivenza del teatro, dal creare un bisogno di fascinazione, un’attrattiva permanente, quasi una necessità che sarà alla base del futuro fruitore adulto. I bambini recepiscono molto bene il messaggio, si mettono in gioco e partecipano con passione e curiosità, mostrando che ogni stimolo positivo fa la sua parte nella crescita della persona.

Cosa significa lavorare in campo artistico a Reggio, dove poche associazioni culturali sopravvivono e i teatri sono chiusi?

Contrariamente ad altre città della regione come Cosenza, dove l’università è molto attiva nel settore artistico anche con laboratori di musica e teatro aperti al territorio e non ad esclusivo appannaggio degli studenti, Reggio rimane un’entità a parte. Credo che noi operatori del settore dobbiamo farci carico della responsabilità di dialogare con la città e confrontarci con altre esperienze, l’autoreferenzialità non ha significato. Con grande difficoltà a Spazioteatro creiamo occasioni di confronto e di formazione, spingiamo molto i nostri allievi a partecipare ad altri laboratori, perché solo così si può crescere anche nella professione. La mentalità della cerchia ristretta non ci appartiene. Reggio in questo è rimasta isolata; la politica ha avuto le sue responsabilità, ma anche noi. Pur essendo una città di provincia ha – o meglio aveva, ora non so – potenzialità tali da potersi mettere al passo con altre città di pari dimensioni. Il problema è che qui la borghesia ha coltivato per anni il suo orticello, impegnata socialmente in piccoli circoli di clientele di potere legate all’uno o all’altro referente politiche, e così ha lasciato il campo a chi trova nella politica un riconoscimento sociale che altrimenti non avrebbe. Certo, ad ogni tornata elettorale ci sono delle fette di società civile che si candida, ma per amministrare una città bisogna avere un’apertura all’altro, mostrare una linea chiara che dal punto di vista culturale la città non ha mai avuto; difficile che siano in grado di proporre un programma ampio spettro per la città. Immagino un modo diverso di relazionarsi con il sindaco che verrà; chiunque sia, deve dare delle risposte ad una comunità che, legittimamente, chiede conto di come si vogliono raggiungere gli obiettivi comuni: sappiamo tutti che bisogna ricominciare da zero, il problema è che manca la pagina del come. Invece di fare, proporre, mettere in moto delle dinamiche virtuose ed efficaci, si persegue sempre nello scaricare le responsabilità sulle precedenti amministrazioni. Se non si hanno le idee né una linea che tenga conto delle risorse, non è necessario candidarsi. Tornando al teatro, basterebbe prendere delle decisioni ferme su una direzione da seguire per un periodo di tempo finalizzata al raggiungimento degli obiettivi individuati, e perseguirla, sovvenzionando solo progetti e iniziative coerenti con la direzione data. Questo lascerebbe fuori il clientelismo e la logica dell’amico a vantaggio di una unità di intenti.

Perché l’arte, la cultura, non rientrano mai tra le priorità della politica?

Purtroppo a mio parere non ci sono priorità ormai, solo emergenze, ed in assenza di risorse bisogna scegliere. Tutti vorrebbero un teatro comunale aperto, ma non sono molti quelli che si informano, che partecipano. In questo momento di confusione poi, la gente non sa neanche a chi fare riferimento per avere informazioni, tanto che qui a Spazioteatro arrivano telefonate per sapere come fare per affittare il Cilea, qual è la stagione del Siracusa… Bisogna poi intendersi sul termine cultura. Io faccio teatro, che può essere intrattenimento, spettacolo, anche cultura, ma è soprattutto arte, e una società civile deve dare a tutti la possibilità di fruire di un prodotto artistico, sia esso musica, danza o teatro. C’è chi non è interessato al teatro ma non per questo deve essere etichettato come persona a cui non interessa la cultura. Posso fare teatro senza fare cultura e viceversa, lo stesso vale per la musica. Chi ha la responsabilità della fruizione sociale dell’arte non può limitarsi alla gestione delle strutture ma deve dare la possibilità alla gente di scegliere e alle forme artistiche di esprimersi.

Chi dovrebbe vigilare sulla qualità delle produzioni artistiche proposte?

Non può farlo l’ente pubblico perché non ne ha le competenze, lo ripetiamo da anni anche a livello regionale. Ci sono criteri di valutazione oggettivi e criteri artistici. Si parla da anni di una Consulta composta da operatori del settore che, in quanto parte in causa, rinuncerebbero a coinvolgere in maniera diretta nei bandi le proprie compagnie. Abbiamo fatto battaglie per il direttore artistico del Magna Grecia Teatro che, pur pagato profumatamente per questo compito, inseriva in cartellone gli spettacoli dei suoi collaboratori. Inoltre, bisognerebbe mettere in atto la garanzia della trasparenza su tutta la linea. A fronte di una linea da seguire ripeto, gli operatori dei diversi settori presentano progetti in cui tali criteri risultino contestualizzati a seconda della forma d’arte specifica e la commissione valuta i progetti in base a qualità e congruità. In questo modo è più facile dire no, scegliere. Non bisogna accontentare tutti per forza. E’ necessario capire quale direzione la nuova amministrazione cittadina vuole imprimere in questo settore, quante risorse si vogliono investire, ma prima ancora deve conoscere gli spazi esistenti, chi sono gli operatori locali e cosa fanno; spesso gli assessori non sanno neanche della nostra esistenza e non conto nemmeno la volte che su invito a vedere il nostro lavoro non si è presentato nessuno. E non parlo solo del teatro. L’accusa non è di non dare sovvenzioni, ma di amministrare un settore che non ci conosce affatto. E finché le scelte culturali faranno riferimento alla sfera della popolarità televisiva, troveremo personaggi di quell’ambito alla direzione di un teatro, com’è già successo.

Un teatro comunale chiuso non è sintomatico del vedere nella cultura e nell’arte solo una voce di costo?

Un teatro pubblico ha dei compiti diversi da un’associazione che organizza ma nasce con la vocazione di produrre. Negli ultimi anni la politica regionale – che si basa solo su fondi europei – ci sta costringendo a diventare organizzatori, così invece di creare e curare le produzioni, passiamo il tempo a organizzare. Il risultato è che a livello regionale abbiamo spettacoli interessanti e altri meno, anche perché non si riesce – per mancanza di tempo e di fondi adeguati – a raggiungere un livello artistico tale da poter uscire dal perimetro regionale. Se si continuano a proporre eventi con personaggi di richiamo che vengono dai reality, i fondi vanno fuori senza alcuna ricaduta sul territorio; ad oggi, non c’è mai stata una politica a sostegno della vendita delle produzioni. L’abitudine delle 10/15 file omaggio delle ultime stagioni, della campagna abbonamenti senza reali incentivi (sconto di 1 euro a spettatori sotto i 22 anni!), non si va da nessuna parte. Se invece si concepisse una stagione con una struttura all’altezza, si potrebbero proporre convenzioni con le scuole della provincia, incontri con attori, formazione, creando interesse e curiosità, magari aprendo nuove strade per i giovani. E’ l’ente pubblico a doverlo fare e sarebbe già un sostegno. Le cose sarebbero molto diverse se si facesse un discorso di promozione delle compagnie locali: l’ente chiede dei progetti, garantisce la presenza di critici delle testate nazionali e di settore, di operatori del settore provenienti da fuori regione, organizzatori di festival, e le compagnie investono nella produzione di uno spettacolo di un certo livello qualitativo. A quel punto s’innescherebbe un investimento congiunto pubblico-privato nella promozione delle buone realtà artistiche a vantaggio di tutti. Un altro aspetto importante sarebbe quello di mettersi in rete con le compagnie che già vengono sul territorio per date in altri teatri o in transito verso la Sicilia; qui non si è mai fatto perché la gestione del teatro comunale è stata affidata a impiegati – peraltro in sovrannumero – nei cui compiti non rientra la mansione di intercettare questi flussi. Non hanno formazione specifica né esiste un ufficio stampa che conosca il settore. Nessuno qui va a vedere cosa succede altrove e invece i casi di buone pratiche aiutano; sono molte le idee praticabili ad un costo sostenibile. Affidare la direzione artistica ad un nome noto non basta per promuoversi.

Reggio è al bivio, come vedi i tempi a venire?

Spero solo che chi si troverà a governare non attribuisca la condizione della città a chi ha amministrato in precedenza o al commissariamento. Basta. Siamo all’anno zero, lo sappiamo. Non ditelo più. Non dite che i programmi lanciati in campagna elettorale devono essere ridimensionati perché la situazione è peggiore delle più nere previsioni… Non ci siamo ridotti così in tre anni di commissariamento, ma certo questo ci ha affossati ancora di più perché non ha ascoltato la città e non le ha dato speranza. Siamo stati messi in mano a burocrati che non conoscono il territorio, hanno guardato solo i conti, alzato le tasse e basta. Questo ha rafforzato le istanze della precedente amministrazione, che non aveva tutti i torti ma gravi responsabilità perché chi amministra una città deve fare di tutto per garantirne il funzionamento e questo non è successo. Fatta salva la buonafede, non si possono sempre scaricare le responsabilità sugli altri, sopratutto se si governa in virtù di ampi margini di consenso. Cultura è anche abituare i ragazzi ad andare a scuola senza dover fare slalom tra l’immondizia: possibile che in tanti anni nessuno abbia trovato soluzioni a questo come alla mobilità urbana, alla cura del verde pubblico, al degrado? Si dovrà magari mettere in atto qualche azione che inizialmente sarà impopolare, ma è compito del buon amministratore ripristinare decoro e civiltà oltre che i servizi. Siamo ad una svolta culturale a livello globale, ci vogliono programmi a lunga scadenza. Il tanto compianto Falcomatà forse non era esente da colpe, ma aveva un’idea di città. Negli ultimi anni c’è stata l’idea dell’oggi. Di cosa deve vivere la città? Quali ambiti sviluppare? Se continuiamo a dire che siamo un territorio a vocazione turistica, lavoriamo su questo, concepiamo pacchetti, promuoviamo il territorio in modo innovativo, mettiamoci in rete. E attiviamo il controllo dell’efficienza per superare il clientelismo e fare in modo che il cittadino sia propenso al cambiamento. Ci sono strutture in città che funzionano a fronte di altre che non dialogano con la città. L’ente deve fare in modo che questo accada. L’azzeramento del commissariamento ci consenta di evitare recriminazioni e rancori. Una delle grandi colpe della precedente amministrazione è stata quella di inasprire la spaccatura forte che c’è in città a livello ideologico. L’ampio consenso ha represso la furbizia politica di rendere onore agli sconfitti. Lo stesso errore non lo faccia chi vincerà: chi ha governato ha comunque rappresentato una grossa fetta della città. Adesso voltiamo pagina, non aggraviamo il divario sociale ed ideologico che caratterizza la città ormai da anni, lavoriamo insieme per sfumare i conflitti e per il bene pubblico. La buona amministrazione è quella che vede tanto lontano da creare un percorso virtuoso da consegnare a chi seguirà. Andiamo incontro ad una scelta generazionale diversa: non è detto che chi è troppo giovane sia incapace e chi ha esperienza non lo sia. Spero che si abbia la capacità di circondarsi di collaboratori validi e competenti, non necessariamente di chi ha contribuito al risultato in virtù dei voti. Se non è questa l’intenzione, non candidatevi.

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