“È difficile dire la verità, perché ne esiste sì una sola, ma è viva e possiede pertanto un volto vivo e mutevole” - Franz Kafka
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Niente è ‘ndrangheta

di Claudio Cordova – Una decisione giudiziaria – che sia un’ordinanza di custodia cautelare, che sia una condanna o una assoluzione – ha sempre degli strascichi sulla popolazione. Può inquietare, può indignare, può far perdere la fiducia in un singolo personaggio o in un’intera Istituzione. Il fato ha voluto che gli ultimi mesi, le ultime settimane e gli ultimi giorni concentrassero una serie lunghissima di assoluzioni “eccellenti”, dopo anni di inchieste, in alcuni casi di carcere, per taluni di gogna mediatica.

In ordine sparso, da Totò Caridi, ex senatore assolto nel processo “Gotha”, passando per Mimmo Tallini, ex presidente del consiglio regionale della Calabria, assolto nell’inchiesta “Farmabusiness”. Oppure l’ex senatore forzista Marco Siclari e l’ex consigliere regionale Domenico Creazzo. Da ultimi, giorno dopo giorno, come in un rosario di flop giudiziari, l’imprenditore ed ex vicepresidente della Reggina, Gianni Remo, gli ex sindaci di Melito Porto Salvo, Giuseppe Iaria e Gesualdo Costantino, l’ex assessore comunale Dominique Suraci, il noto imprenditore Giuseppe Crocé, l’ex sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà. E mettiamoci dentro anche lo sconto di pena per l’avvocato Giorgio De Stefano, considerato il trait d’union tra ‘ndrangheta e massoneria deviata. E ovviamente le assoluzioni (anche se in quei casi, la ‘ndrangheta non c’entra nulla) del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà.

Un elenco lunghissimo.

Assoluzioni che, pur in un clima culturale e sociale sonnacchioso, disinteressato, come quello calabrese e reggino non possono passare sotto traccia. Anche se, evidentemente, l’apice del dibattito, del ragionamento (su un tema che meriterebbe agorà e menti ben più importanti) non va oltre i social e non va oltre l’indignazione (o l’insulto) verso l’azione giudicata spesso troppo sommaria e manettara da parte della magistratura inquirente.

E, invece, in una terra particolare come la Calabria il ragionamento su tutto ciò che riguarda la Giustizia e tutto ciò che riguarda la ‘ndrangheta non dovrebbe mai essere banalizzato, perché la ‘ndrangheta è un male gravissimo e tutti i mali gravissimi se ignorati, se sottovalutati, se lasciati crescere proliferare, divorano l’organismo che intaccano.

E in questo caso l’organismo intaccato è la Calabria stessa e la sua parte sana.

E d’altro canto, però, aver lasciato l’azione di contrasto (spesso anche culturale) solo alla magistratura, negli anni in cui essa era rappresentata degnamente, oggi ci porta al risultato odierno. Ossia un territorio che, ormai privo di riferimenti, è allo sbando. Non sa cosa pensare. Sempreché voglia pensare.

Ma allora cosa è cambiato? Cosa ha consentito a pezzi importanti della storia investigativa recente della Calabria di essere spazzati via, generalmente in Appello o in Cassazione? Vi è senza dubbio un tema di natura tecnica. Chiunque abbia seguito almeno un paio di processi sa bene che in Appello l’operato della Procura Generale è decisamente meno incisivo, meno d’assalto rispetto a quello portato avanti dai pm di primo grado. E questo, evidentemente, non può che essere una agevolazione per la difesa che, invece, in prima istanza deve spesso giocare una partita di retroguardia, provando a sfruttare, al massimo, qualche contropiede.

Ma questo non è un argomento interessante. E’ un argomento che riporta alla eterna lotta (che poi lotta non dovrebbe essere) tra accusa e difesa. Molto più interessante è capire quanto comportamenti disdicevoli (come quelli che, non ce ne vogliano, hanno avuto anche molti dei soggetti sopra menzionati e assolti) sfocino nel reato penale. E quanto, soprattutto, sia cambiato e stia cambiando nella percezione del fenomeno ‘ndrangheta. Non solo nella società, ma anche nella magistratura. Che, giova dirlo soprattutto di questi tempi di scontro politico, è composta da cittadini ed esseri umani.

E’ un dato di fatto che almeno l’ultimo quinquennio abbia segnato un deciso passo indietro nella lotta alla ‘ndrangheta, sia sotto il profilo giudiziario, che sotto il profilo sociale e culturale. Almeno a partire dai mesi che precedono la pandemia da Covid-19, infatti, abbiamo visto – salvo rare eccezioni – un numero sempre inferiore di inchieste giudiziarie, ma, soprattutto, un drastico calo della qualità delle stesse. Questo, evidentemente, per via di un abbassamento del livello della magistratura italiana e, segnatamente, di quella calabrese.

E così, pian piano, il cloud della parola ‘ndrangheta si è rimpicciolito sempre di più nella narrazione.

A tutto questo hanno contribuito anche leggi sempre più stringenti per ciò che concerne la divulgazione delle notizie. La Legge Cartabia (ma non solo essa) ha di fatto azzerato la possibilità di raccontare in maniera dettagliata quelli che sono gli sbocchi giudiziari, facendo fare tanti passi indietro al dibattito pubblico sul tema. Perché un cittadino che non conosce le notizie, rectius, un cittadino che non può conoscere le notizie, perché i giornalisti non possono più scriverle, è un cittadino che non ha nulla di cui parlare, su cui riflettere.

Ma anche la ‘ndrangheta è cambiata.

Le ultime inchieste note ci mostrano una ‘ndrangheta che sembra regredita a un livello molto più brado rispetto a quello che ci eravamo abituati a conoscere. E questo, chiaramente, anche per un ricambio generazionale che non dev’essere stato all’altezza in seno alle cosche. Per intenderci, le nuove leve non hanno il carisma, la leadership, la visione, non solo dei vecchi patriarca, oggi 80enni o 90enni (o deceduti). Ma anche dei 50enni e dei 60enni, che spesso scontano lunghi periodi detentivi. Le ultime inchieste ci mostrano cosche che si azzuffano spesso per vicende bagatellari.

Insomma, anche la ‘ndrangheta è specchio dell’abbassamento qualitativo che un po’ tutto il sistema vive.

Ma questo non può non sfociare anche in una tensione (attenzione) pressoché inesistente da parte della società civile. Se un tempo, infatti, proliferavano i dibattiti, le manifestazioni, le rassegne, dedicate alla lotta al crimine organizzato, oggi questo sembra essere scomparso da tutte le agende. E, anzi, sembra che la stessa popolazione sia disinteressata anche a vicende che, invece, un tempo, seguiva con grande attenzione. Anche con un pizzico di voyeurismo. E’ innegabile che associazioni antimafia, un tempo onnipresenti come il rosmarino, oggi siano scomparse, anche di fronte a vicende che avrebbero richiesto un intervento, di sostegno o di disapprovazione.

Tutto questo è pericoloso.

Perché ovviamente le assoluzioni di cui sopra non possono instillare che ulteriore sfiducia in una magistratura che, dopo il caso Palamara (con cui non ha mai fatto totalmente i conti) è ai minimi termini in tema di autorevolezza. E, si badi bene, nessuno invoca condanne esemplari, nessuno critica le sentenze assolutorie pervenute negli ultimi giorni. Anzi, il ragionamento di questo articolo va proprio a cozzare con un’altra (risibile) “riflessione” sviscerata da taluno circa il fatto che ai proscioglimenti non sia stata data la stessa enfasi data ai provvedimenti cautelari.

Se siamo qui (per l’ennesima volta) a provare ad aprire un dibattito sul tema, è proprio perché è giusto che i casi menzionati e anche altri siano oggetto di riflessione. Perché dal canto degli imputati e di coloro ne avranno sempre sostenuto l’innocenza è anche lecito oggi parlare di carriere politiche stroncate, nel caso degli esponenti istituzionali, nonché di tessuto economico smembrato, nel caso degli imprenditori coinvolti o di classe dirigente infangata, nel caso dei professionisti arrestati e poi assolti.

Insomma, si è passati da una fase in cui tutto era ‘ndrangheta, a una fase in cui niente sembra essere ‘ndrangheta. E anche su questo sarebbe interessante riflettere. Se la Calabria oggi può provare a pensare a qualcosa di diverso, grazie alle nuove rotte aeree, grazie a Taurianova Capitale del Libro, grazie al gran parlare su Tropea, ecc. ecc., è perché negli scorsi anni si è parlato tanto di ‘ndrangheta e, quindi, oggi, la stessa può essere percepita come un problema e una zavorra? Oppure, viceversa, non bisogna più considerare illeciti comportamenti che, solo pochi anni fa, erano considerati tali, e non bisogna più parlare di ‘ndrangheta, perché oggi bisogna pensare a un’idea nuova di Calabria?

Un’idea in cui, appunto, niente è ‘ndrangheta.

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