“La deradicalizzazione: il contesto culturale” è il tema della lezione tenuta da Sabrina Martucci, Direttore del Master Terrorismo e deradicalizzazione all’Università “Aldo Moro” di Bari, al Master in Intelligencedell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Martucci ha affrontato il tema della deradicalizzazione conl’approccio formativo della contestualizzazione culturale nell’ambito della cultura dell’intelligence. Ha esordito affermando che, nonostante l’assenza di una disciplina specifica, per una corretta interpretazione del fenomeno della deradicalizzazione è opportuno fare riferimento ad una metodologia “a schema complesso” che consente un approcciomultidisciplinare al fenomeno.
La docente ha quindi evidenziato l’importanza dell’analisi giuridica della deradicalizzazione, la quale devenecessariamente affiancare quella sociologica, poiché nellainterpretazione del terrorismo contemporaneo è centrale possedere l’elasticità necessaria per superare i limiti di una visione settoriale per poter concretizzare in maniera opportuna le conoscenze teoriche. Infatti, “le attività da condurre non sono frutto di mere riflessioni teoriche, bensì di un grande lavoro di continua contestualizzazione e concretizzazione”.
Per poter influire sul soggetto radicalizzato è necessario conoscere e saper valutare la complessità del soggetto, in relazione alla sua provenienza, alla sua storia e alle modalità di radicalizzazione. Èper questo necessario attuare una metodologia di lavoro che si basisulla valutazione di complessità, contestualizzazione e consapevolezza, anche per conoscere il fenomeno religioso e per comprendere quale sia l’effettiva influenza del fattore religioso sul processo di radicalizzazione.
Per la docente “la società richiede professionisti con altissime capacità che agiscano tenendo conto della tutela dei diritti umani”ed ogni azione deve essere orientata dal rispetto dello Stato di diritto. Difatti, in qualità di analisti ed operatori della sicurezza ènecessario comprendere questo sistema perché consente non solo di condurre in maniera efficace le attività di deradicalizzazione,ma anche di riuscire a incardinare questo tipo di lettura nella previsione di uno scenario a medio termine. A tal proposito, hadefinito la radicalizzazione un “fenomeno camaleontico dotato diun’enorme capacità di rinnovarsi”, evidenziando altresì l’evoluzione da una narrativa che va “dalla fede alla fame e dalla fame alla fede”, va cioè da contenuti plasmati sul distorto uso del messaggio religioso a quelli di carattere più propriamente sociale.
Martucci ha poi rilevato che in questi ultimi due anni il fenomeno pandemico ha distolto quasi completamente l’attenzione dal pericolo del terrorismo, sottolineando al contrario che la formazione terroristica non ha mai subito interruzioni e che“nonostante il silenzio, la minaccia resta molto forte”. Inparticolare, proviene essenzialmente dalle regioni africane, dove l’attenzione cinese e russa sulle loro materie prime può indurre persone a sostenere il terrorismo e dove le notevoli criticità legate al cambiamento climatico provocano imponenti movimenti migratori, nutrono il traffico di esseri umani. La docente ha altresì sottolineato come il concetto di crisi umanitaria sia oggi quasi esclusivamente concentrato sull’attuale conflitto russo-ucraino, tralasciando numerosi fenomeni di preoccupazione universale che continuano a caratterizzare diverse zone del pianeta, come iltraffico delle spose bambine, di organi oppure l’addestramento alterrorismo di minori rapiti da al Shabab o costretti nelle madrasse afgane. Martucci afferma che la radicalizzazione non si configuracome reato, ma che, anzi, può rappresentare una libera scelta religiosa che induce a regolare la propria vita in base ad unaappartenenza stretta, fondamentalistica ad una fede. Questochiaramente rende “difficile comprendere quando poter agire, ovvero capire quando il proselitismo fondamentalistico e radicale supera il limite della liceità”. In altri termini, non è semplicecomprendere quando una storia di radicalizzazione assume una concreta pericolosità sociale e quali siano le minacce che pone ilfondamentalismo contemporaneo. Martucci afferma che “l’attività di deradicalizzazione deve quindi incardinarsi nello Stato di diritto ed essere quanto più specifica, costruita sul singolo caso“, seguendo i principi della Costituzione e senza svalorizzare i valori etnici e culturali delle persone. Ha proseguito parlando di terrorismo “stocastico“ affermando che in questo sistema il punto di innesco parte dall’animatore dell’idea che diffonde il fenomeno e la retorica jihadistico-eversiva in rete, coinvolgendo “radom”soggetti che neanche lui immagina di raggiungere e che non sa né quando né come agiranno. È evidente quanto sia difficile per l’analista identificarli. Questo è un nuovo dominio cognitivo che si inserisce nella geopolitica della mente e rientra nella propaganda per reclutare adepti. Martucci ha quindi approfondito il fenomeno della deradicalizzazione, che ha un fine laico: “la sicurezza dello Stato”. Per attuare la deradicalizzazione, bisogna partire dalle regole del disingaggio. La deradicalizzione non è “deprogrammazione” e può essere applicata solo quando l’ideologia eversiva si trasforma in atti preparatori che vanno disinnescati, determinando il depotenziamento della minaccia e perseguendo il fine della sicurezza dello Stato. Capire che il fenomeno del terrorismo non ha religione ci aiuta ad analizzare, inoltre, che l’azione penale deve essere incisiva per prevenire la genesi del contesto di ingaggio, affermando altresì che “la fine del processo di deradicalizzazione combacia con la reintegrazione della persona coinvolta nella società”. Martucci ha infine concluso affermando che “il nostro Paese è a buon punto sull’approccio al contenimento della minaccia terroristica, meno per laderadicalizzazione“; non ci si deve distrarre dalla minaccia che si potenzia nel contesto internazionale, solo perché non raccontata quotidianamente dai media. Quindi, per evitare futuri attacchi, “non bisogna mai abbassare l’attenzione”.