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Crisi demografica e preservazione della fertilità: un intreccio indissolubile tra medicina e sociale. La Calabria non è più la “culla d’Italia”

Per garantirsi un ricambio generazionale e quindi il “futuro” della comunità, servirebbe una media di 2,1 nascite annue per ogni coppia fertile. L’ultimo dato italiano, invece, fa registrare appena l’1,24 e la Calabria in particolare, con il suo 1,28, è solo il pallido ricordo di quella che un tempo fu la “culla d’Italia”; con l’aggravante che i giovani, i futuri mamma e papà, seguitano a emigrare altrove.

La seconda edizione del convegno “Preservazione della fertilità: strategia per far nascere il futuro”, organizzato dal Gatjc Center di Gioia Tauro (RC), restituisce uno scenario noto ma che si fa di anno in anno più inquietante rivelando una vera e propria emergenza, in cui il dato squisitamente medico si intreccia alle implicazioni di natura sociale. È anche per questo che il Gatjc ha chiamato a raccolta professionisti e studiosi di diverse branche del sapere, oltre agli specialisti nel campo della procreazione.

“La ricerca medica e tecnologica ci consente ormai un ampio spettro di opzioni per il paziente – spiega Umberto Tripodi, responsabile scientifico del convegno – . Oltre alla fecondazione assistita, già ampiamente conosciuta e praticata, il fronte più avanzato è il Social Freezing che consente di congelare i propri ovociti e quindi preservare la propria fertilità. Il problema, oggi, non è solo la sterilità ma è anche la scelta di molte coppie di ritardare per le ragioni più diverse la procreazione. Ragioni spesso comprensibili, come l’incertezza lavorativa – aggiunge Tripodi – ma che devono fare i conti con l’orologio biologico. Dopo una certa età, gli ovociti nella donna diminuiscono di numero ma soprattutto di qualità e quindi si abbassa la possibilità di fare un figlio. Il Social Freezing costituisce l’alternativa perché consente di crioconservare il proprio patrimonio genetico e ritrovarlo integro quando, in un secondo momento, la decisione di procreare sarà stata presa. È un’alternativa che può rivelarsi preziosa, ma occorre che le persone ne siano a conoscenza e siano anche consapevoli del fatto che non possiamo permetterci di diventare una società fatta solo di anziani”.

Ed è qui che il problema, da medico, diventa appunto sociale.

“Occorre – sostiene Leona Cremonese, CEO del Gatjc – che i medici, i politici, la scuola ma anche i singoli cittadini, ci impegniamo a informare e a diffondere consapevolezza, per ricostruire una cultura della famiglia intesa come luogo di affetti irrinunciabili ma anche come primo mattone per costruire il futuro. Già oggi ogni bambino ha sulle spalle quattro anziani ma allora, chi pagherà domani le pensioni? Chi pagherà i servizi assistenziali di cui gli anziani debbono giustamente poter godere? È vero che l’Italia è stata capace di garantire l’allungamento della vita media delle persone grazie anche all’assistenza e alle cure ma in futuro, chi si occuperà di sostenere il sistema? Sono domande retoriche – conclude Cremonese –, il punto è dare loro una risposta efficace. Chi come noi si occupa di preservare la fertilità o favorire la procreazione si sforza di svolgere al meglio il suo ruolo, ma quelle domande retoriche ci dicono che siamo in tanti a dover fare la nostra parte. Non possiamo certo rassegnarci a dare ragione a Elon Musk, quando afferma che il nostro Paese sta scomparendo”.

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