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Maradei (IdM Lamezia Terme): “L’applicazione della ‘Fit for 55’ non ucciderà solo il porto di Gioia Tauro ma le prospettive di crescita economica di tutta l’area mediterranea europea”

“Da qualche settimana si sente parlare sui principali media nazionali e regionali del pericolo che corre il porto di Gioia Tauro dall’applicazione integrale del pacchetto climatico europeo “Fit for 55”. Non è questo il luogo più adatto per entrare nei tecnicismi della materia, ma per grandi linee si può dire che l’Unione Europea ha deciso che le grandi navi (quelle che superano le cinquemila tonnellate) debbano pagare un contributo ambientale o investire somme ingenti in brevissimo tempo per modificare la tecnologia di propulsione a garantire la sostenibilità ambientale dei trasporti marittimi. Questo contributo è già presente per alcuni impianti di produzione, quali le acciaierie.

Dal punto di vista “ideale”, l’obbiettivo appare nobile e giusto: spingere le aziende a ridurre le emissioni inquinanti attraverso la non convenienza ad inquinare è un sistema che può portare effettivamente dei benefici. Ma ogni innovazione legislativa deve fare i conti con la reale applicabilità e con l’effettiva capacità di raggiungere gli obbiettivi che si è prefisso il legislatore.

Analizziamo, quindi, l’applicabilità di questa norma nelle varie sfaccettature logistiche.

Il traffico delle grandi navi è molto legato al “transhipment”, ovvero al trasporto di merci attraverso i container che poi giungono in alcuni porti specificatamente attrezzati e in questi il contenuto delle navi è trasbordato (traduzione italiana di transhipment) in navi più piccole in grado di raggiungere tutti gli altri porti. I porti in grado di eseguire queste operazioni nel mondo sono pochi, necessitano di fondali adeguati e grandi spazi opportunamente protetti per garantire i pescaggi sufficienti e acque molto calme, necessarie all’attracco e al trasbordo dei containers delle grandi navi (tipo Post Panamax) attraverso delle enormi gru posizionate sulle banchine.

Gioia Tauro è il porto transhipment per eccellenza in Italia, fra i più grandi d’Europa, è situato al centro del mediterraneo e questa posizione, unita ai recenti investimenti soprattutto ferroviari, oltre all’enorme retroporto, potrebbe consentire una rapida crescita in termini di importanza logistica (e di TEU movimentati).

Storicamente lo scalo calabrese ha dovuto affrontare l’ostilità dei grandi interessi portuali italiani, in special modo liguri (famoso è il dicktat dell’allora ministro dei trasporti del Governo Prodi, il ligure Burlando, del PDS, all’allora amministratore delegato delle ferrovie dello stato, Lorenzo Necci, “Se fai partire un solo treno da Gioia Tauro ti caccio!”) che ha bloccato lo sviluppo di Gioia Tauro e, in realtà, anche frenato l’intero comporto logistico italiano; è stato come tenere in panchina un fuoriclasse per favorire il brocco raccomandato.

Da qualche anno, e soprattutto negli ultimi due post covid, lo scalo reggino è riuscito a intercettare un’enorme mole di traffico commerciale (attraverso il mediterraneo transita circa il 30% del traffico container mondiale) tanto che in Italia quasi il 28% di tutti i container movimentati e il 77% di quelli trasbordati passano dal porto calabrese, che dà lavoro a quasi seimila lavoratori; le prospettive risultavano sempre più rosee, soprattutto grazie ai previsti investimenti infrastrutturali in tutto il mezzogiorno d’Italia.

Ma ora…la doccia fredda arriva da Bruxelles.

Secondo uno studio realizzato dall’autorità portuale di Gioia Tauro, il porto rischia di chiudere perché, al fine di non pagare questa nuova tassa ambientale, le grandi compagnie di navigazione sposteranno le operazioni di transhipment delle navi nei vicini porti africani del Mediterraneo.

Ma come mai i porti africani (principalmente Port Said in Egitto e Tangeri in Marocco) possono risultare convenienti quando entrerà in vigore questa nuova normativa europea?

La risposta a questa domanda è da trovarsi nel combinato disposto fra la posizione dei porti, la tipologia di traffico e la strutturazione della norma.

Il traffico marittimo proviene principalmente dal canale di Suez e transita attraverso il Canale di Sicilia per raggiungere i porti di Amburgo (in Germania), Rotterdam (Olanda) e Anversa (Belgio). Quindi ha un andamento prevalente Ovest-Est lungo il mediterraneo per poi andare verso Nord una volta attraversato lo stretto di Gibilterra.

La normativa prevede che il nuovo contributo ambientale sia versato al 100% se la nave inizia e finisce la tratta in porti Europei, mentre è dimezzata se partenza o arrivo sono fuori UE.

Facciamo un semplice esempio per chiarire cosa significa, all’atto pratico, questa clausola normativa: se una nave si immette nel Mediterraneo dal Canale di Suez, diretta a Rotterdam, e fa un primo scalo a Gioia Tauro (ma potrebbe essere anche il porto del Pireo in Grecia o la Valletta a Malta, Valentia in Spagna) per trasbordare alcuni container e poi ripartire fino a Rotterdam, pagherà la tariffa dimezzata fino a Gioia Tauro (primo porto europeo) e intera per il tratto Gioia Tauro – Rotterdam; la nave, quindi, dovrà pagare due volte, una volta con tariffa dimezzata e l’altra con tariffa intera. Se, invece, la nave fa tappa a Port Said (o Tangeri) e da lì procede fino a Rotterdam, paga solo una volta la tariffa dimezzata perché Rotterdam è il primo e unico scalo europeo toccato dalla nave.

A questo punto una domanda è d’obbligo: così come strutturata la legge, ha un’utilità ai fini della protezione dell’ambiente? Le grandi compagnie di navigazione saranno invogliate, grazie a questa norma, ad investire in innovazione tecnologica pur di non pagare questo contributo ambientale? La risposta è sicuramente no. Per una compagnia di navigazione trasbordare a Tangeri (e non pagare la tassa) piuttosto che al Pireo (dove deve pagare la tassa) è la stessa cosa; non c’è, quindi, alcun ritorno favorevole dal punto di vista ambientale. La legge, pertanto, ai fini del raggiungimento del risultato che si è prefissato, è assolutamente inutile.

Una seconda domanda potrebbe essere la seguente: chi risulta penalizzato da questa legge? Sicuramente i porti Europei del mediterraneo, in quanto a pochi chilometri da essi esistono porti in grado di fornire grossomodo gli stessi servizi (i porti africani nei quali si concentreranno sicuramente gli investimenti anche nordeuropei), senza avere costi ambientali aggiuntivi.

E i porti del Nord Europa subiranno conseguenze? Allo stato attuale e nel prossimo futuro del commercio marittimo non avranno alcuna conseguenza, essendo i porti terminali dei viaggi delle grandi navi e, quindi, per il meccanismo delle tariffe deciso nella normativa europea non subiranno conseguenze pratiche. Anzi, a dirla tutta, avranno un vantaggio competitivo rispetto ai porti mediterranei in quanto la riduzione di competitività impedirà a questi di svilupparsi e di diventare dei veri competitors. Facciamo un esempio proprio su Gioia Tauro: da un anno circa (dopo un’attesa di 30 anni) è finalmente partito il servizio di trasbordo in ferrovia per il prosieguo negli interporti di Napoli, Bologna e Padova. Continuando questo trend e con gli investimenti previsti in alta velocità e alta capacità, lo scalo calabrese potrebbe acquisire il giusto appeal per diventare porto terminale dei lunghi viaggi commerciali ed erodere quote di mercato ai porti del Nord Europa, passando da puro transhipment a porto di testa. Questa prospettiva, inoltre, crea problemi anche ai grandi porti italiani (Genova e Trieste in primis).

Seneca nella Medea ci ha lasciato una modalità interpretativa dei delitti: “qui prodest?” (a chi giova?). Il delitto di tarpare le ali ai porti mediterranei europei a chi conviene? Ai porti e, quindi, al sistema logistico dell’Europa del Nord che pur di conservare vantaggio competitivo distrugge le possibilità di crescita degli altri territori europei favorendo i porti di altri continenti.

Il modo in cui è stata scritta questa normativa europea è un vero e proprio atto di guerra commerciale intestina fra stati europei e i rappresentanti nazionali in seno alle istituzioni europee non hanno voluto opporsi (o forse non sono stati in grado di farlo, magari per ignoranza o per furore ideologico).

Non so per gli altri paesi mediterranei, ma per quanto riguarda l’Italia è andato in scena il solito copione: sacrificare gli interessi del mezzogiorno barattandolo per chissà quale interesse del Nord Italia, certi del fatto che la logistica settentrionale non sarà intaccata da questo provvedimento (ricordiamo che nel passato, ad esempio, l’agricoltura meridionale fu sacrificata per gli interessi agricoli e industriali del Nord Italia).

Di tutto questo si avvantaggeranno, nel breve periodo, i porti del nord Africa che potranno continuare a godere del cinismo autolesionista degli stati del Nord Europa ed evidentemente, dell’Europa tutta.

Chi non avrà vantaggi da tutto ciò sarà proprio l’oggetto della normativa, ovvero l’ambiente, perché ai fini degli obbiettivi di riduzione delle emissioni, non ci saranno miglioramenti.

Vogliamo, quindi, continuare a subire passivamente questo atteggiamento colonialista, oppure decidiamo di intervenire e far sentire le nostre ragioni?

Il futuro della nostra terra è nelle nostre mani e questa situazione rappresenta il tipico “snodo” attraverso il quale sarà testata la nostra capacità di reagire a questo vero e proprio ennesimo furto di competitività. Per questo Italia del Meridione invita i cittadini a partecipare al Flash Mob organizzato per attirare l’attenzione a livello nazionale ed europeo sul rischio chiusura del porto di Gioia Tauro si svolgerà il 17 ottobre dalle ore 13 alle ore 14 di fronte l’ingresso doganale del porto di Gioia Tauro”.

 

Lo afferma in una nota Giuseppe Maradei, circolo di Lamezia Terme di Italia del Meridione.

 

 

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