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Reggina: 85 anni per scrivere la storia, 26 anni per perdere la memoria

di Paolo Ficara – Ventisei anni fa, a quest’ora, non eravamo ancora in Serie A. Ovviamente, nessuno pensava che a Torino non si sarebbe andati oltre il pareggio. Né tantomeno, un qualsiasi reggino si sarebbe sognato di rivolgersi ad un concittadino, accusandolo di aver sperato che il destro di Tonino Martino finisse a lato. Tuttavia, in molti avrebbero probabilmente crocefisso la società. Qualora non fosse riuscita a raggiungere quel traguardo, solo accarezzato un paio di volte nei precedenti 85 anni.

Nel giorno in cui la Reggina raggiungeva la vettA, ventisei lunghissimi anni fa, il parallelo va sottoposto proprio con la squadra per la quale tutti, a Reggio, si erano fin lì disperati davanti alla tv: la Nazionale italiana.

L’Italia ha perso di recente contro la Norvegia, con un sonante 3-0. Si trattava della prima gara, nel girone di qualificazione ai prossimi Mondiali. I bambini nati 10 anni fa, non hanno ancora mai avuto il piacere di vedere gli Azzurri impegnati nella massima competizione intercontinentale. Solo chi divide il sonno con Luciano Spalletti, avrebbe potuto commentare: “Altri tre gol ed avremmo pareggiato. Per un soffio…”. Solo e soltanto chi va a cena con Gabriele Gravina, potrebbe esclamare: “Trovatemi l’alternativa”.

Va da sé che non può essere una vittoria sulla Moldova, a cambiare gli umori. Non sono questi gli avversari con i quali si deve misurare il valore della nazionale italiana. E nell’immaginario collettivo, non lo è neanche la Norvegia. Poco importa se gente come Haaland oppure Odegaard, in azzurro potrebbe giocare bendata. Storicamente, non si può accettare l’idea che l’Italia sia inferiore ad una nazionale mai arrivata nemmeno tra le prime otto, in una fase finale della Coppa del Mondo.

Nel chiedere l’esonero di Spalletti o anelare alle dimissioni del presidente federale, non si può essere tacciati di essere tifosi della Spagna o dell’Inghilterra. O di avere interessi personali. O di essere nemici dell’Italia. Si tratta di normalissime critiche. Alla cui base c’è proprio il desiderio di non bucare per la terza volta consecutiva, quel che è il minimo indispensabile: partecipare alla fase finale del Mondiale. Poi, guardando alla storia, ce la vorremmo giocare con Argentina, Brasile, Francia e Germania.

La nostra Norvegia è il Siracusa.

E la principale differenza tra Reggina e Nazionale, sta nell’inizio del percorso. Qui è dal primo minuto che è chiara l’inadeguatezza, per raggiungere l’obiettivo minimo. E sempre dal primo giorno, ci sono tre costanti:

  1. Conclamato immobilismo nella definizione delle scelte tecnico-sportive.
  2. Voci su voci su voci circa la cessione societaria, quasi sempre alimentate da chi è al timone. Vedasi farneticante conferenza del novembre 2023, per non risalire a momenti precedenti.
  3. Affannoso proselitismo, volto a conseguire un consenso superiore anche a quello di Gesù Cristo, in percentuale.

Quest’ultimo punto, chiaramente, è legato solo ad aspetti economici. Le componenti che avrebbero il potere di sbattere fuori gli attuali occupanti della Reggina, sono già genuflesse da parecchio. Alcune, a fasi alterne. Ancora ci si dimena nella speranza che tutti si presentino agli aperitivi, pronti ad essere ammaestrati. Il maestro dovrebbe però aver capito che, se aprisse un tabacchino a Reggio e fosse anche l’unico tabaccaio dell’intera provincia, in tanti preferirebbero smettere di fumare. Certo, 3.000 presenze allo stadio fanno comodo. E consentono di gestire un campionato di Serie D con esborso nullo o contenutissimo.

Bene, e anche per quest’anno siamo stati costretti a nominare la Serie D nel giorno in cui si celebra la nostra Serie A. Ed è lì che vogliamo tornare. Così come, da tifosi italiani, sogniamo di vincere ancora la Coppa del Mondo. Altro che non parteciparci affatto. Chi ha raggiunto la vetta, vuole tornarci. Non significa essere visionari. Non è nemmeno ambizione, per certi versi.

È rispetto verso sé stessi. È amor proprio. È senso di appartenenza. Perché quella Serie A conquistata 26 anni fa, appartiene a tutti noi. Appartiene a chi era giovane o giovanissimo, ed oggi è adulto. Appartiene a chi non era ancora nato. Appartiene a chi era già maturo ed oggi lo è ancora di più. Appartiene a chi ci ha lasciati. Appartiene anche a chi non ha fatto in tempo a vederla.

Oggi non siamo noi a dover giustificare le critiche verso chi non sarebbe all’altezza nemmeno del campionato di Eccellenza. È chi li sostiene a dovere delle spiegazioni. Le deve a sé stesso. Le deve alla storia. Come si può godere di questa triste mediocrità? Questi signori devono farsi da parte, e gli va detto oggi più che mai. A dichiarare che la Reggina in D va ceduta a zero, sono stati Amoruso, Bandecchi e Pino Benedetto. Non un commercialista o un cardiologo. Quando troveremo un interlocutore che affermerà qualcosa di diverso, lo pubblicheremo. Ma dev’essere del mestiere. Non il primo commensale che capita.

Fermo restando che ormai, sempre per completare il parallelo con l’Italia, quando parla Adani leviamo il volume.

Chi vuole riportare la Reggina in Serie A, esca allo scoperto. Altrimenti ogni discorso, specie il nostro, diventa sterile. Ci siamo rotti di vivere di ricordi. Ma non ci venite a dire che dobbiamo farci ancora la Serie D, con questi signori. Che ci andasse solo Brunetta in tribuna, nella prossima stagione. Qualche giorno o qualche ora, per capire se ritroveremo il professionismo via ripescaggio. Ma nel frattempo, urge ritrovare la memoria.

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