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Dal Mali all’Italia, passando dai lager libici. “Il diario di un sopravvissuto” di Soumaila Diawara

di Lavinia Romeo – Le cronache di questi giorni, infinito resoconto di sangue, sembrano spingerci verso una lenta assuefazione al disumano. Prendiamone atto, spogliandoci dalle ipocrisie, che l’orrore a cui assistiamo giornalmente attraverso i mezzi di informazione stia portando i nostri sensi sulla strada, meno dolorosa, dell’assuefazione, della violenza interiorizzata, una sorta di corazza dalle emozioni, che ci impedisce di indignarci difronte all’ennesima barbarie.

Difatti, sono anni, anzi decenni, che assistiamo a sanguinosi reportage di guerra dove i corpi di donne e bambini giacciono in terra martoriati o riversi in mare dopo l’ennesimo naufragio a largo delle nostre coste.

Sommersi o salvati, vittime inermi di dittature e guerre, sopravvissuti costretti a migrare in Europa, nel tentativo, disperato, di assicurarsi un futuro.

Ma a noi, spettatori disumani, manca un elemento, la linea di demarcazione netta tracciata da autorevoli analisti tra profughi e profughi, la ”differenza strutturale” tra i milioni che si stanno muovendo in questo momento dall’Ucraina ed i decennali flussi migratori africani – La crisi ucraina che ha colpito il cuore dell’Europa ha infatti dichiarato il ministro dell’Interno Lamorgese è una situazione emergenziale, che non consente rinvii del tempo a disposizione per cercare (almeno per ora) altre soluzioni

Ma, in realtà, per gli sfollati europei la soluzione è stata trovata ed anche con positiva prontezza, attuando il 3 marzo 2022 la Direttiva 2001/55/CE che garantisce unaprotezione temporaneaagli ucraini in fuga dalla guerra.

Così , dopo anni di “spettacolarizzazione mediatica” dei corpi morti in mare, dopo anni di “non si può fare nulla” per le oltre 20 mila vittime risucchiate dal Mediterraneo, oggi, improvvisamente, scopriamo che è possibile accogliere un flusso di centinaia di migliaia di persone sulle nostre terre prima che i singoli casi vengano, giustamente, analizzati.

Ed un’Europa fino ad oggi incapace ad intraprendere azioni previste dai trattati dell’UE, improvvisamente si sveglia, e lo fa dopo anni di tentativi di esclusione spaziale delle possibili problematiche migratorie al di fuori delle frontiere (come dimenticare lo scellerato Memorandum d’Intesa del 2017 voluto dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti che puntò sull’idea che piuttosto che salvare persone in mare e sbarcarle in un luogo sicuro – come fatto tra fine 2013 e 2016 – fosse più conveniente bloccare e respingere in Libia i migranti, dandoli letteralmente in pasto ai carcerieri libici e provocando 5 anni di inaudite violazioni dei diritti umani).

E Soumaila Diawara, attivista maliano rifugiato politico in Italia dal 2014, è un uomo che quei lager li ha visti con i suoi occhi, documentando la sua esperienza nel libro “Le cicatrici di un porto sicuro Diario di un sopravvissuto”. Un vero e proprio diario di viaggio presentato nel corso dell’evento “Incontrarci con l’autore” promosso dal Circolo Arci “Samarcanda” di Reggio Calabria dove Diawara racconta il suo peregrinare dal Mali (dove è costretto a scappare accusato ingiustamente di un’aggressione ai danni del Presidente dell’Assemblea Legislativa) al Burkina Faso, passando per Algeria e Libia, dove viene imprigionato e travolto dai trafficanti d’uomini sopravvivendo al primo naufragio, prima di attraversare con successo il Mediterraneo.

Le cicatrici a cui fa riferimento l’autore raccontano della sua vita da esule, Diawara collega la sua storia a quella di Primo Levi, uomo di confine, esule dentro il proprio paese, vittima di deportazione e sopravvissuto ai lager nazisti che nel lontano 1945 scriveva: “Per molti individui ogni straniero è nemico, e questa convinzione giace per lo più in fondo agli animi, come un’infezione latente…”.

Ma i respingimenti, le espulsioni, i rimpatri, non sono certamente dovuti al solo problema culturale. Un’analisi storico-politica del fenomeno permette altresì di congiungere le fila che uniscono le guerre e le migrazioni con il neo colonialismo occidentale. La Francia denuncia lo scrittore continua a comandare e depredare in Africa ben 14 Stati, un tempo sue colonie, diventate indipendenti negli anni 60 ma soltanto sulla cartasul territorio africano ci sono ben 46 basi militari francesi, hanno più soldati in Africa che in Europa”.

Dobbiamo capire -continua Diawara- dove vanno a finire i soldi che da 70 anni mandiamo per aiutare l’Africa”, 82 milioni di euro già versati dal fondo UE che sarebbero dovuti servire ad attuare oltre 100 programmi per sostenere e favorire la crescita economica, a costruire scuole ed ospedali.

Ma la realtà descritta dal resoconto dell’attivista maliano sembra essere completamente diversa, i paesi Nato e le potenti multinazionali sostengono invece governi fantoccio che favoriscono l’instabilità politica di nazioni già allo stremo “In Mali ed in Nigeria gli stati occidentali finanziano l’ascesa al potere di dittatori sanguinari, mentre depredano i nostri territori delle loro ricchezze”.

Persino dietro gli schermi dei nostri computer e dei nostri smartphone si cela il sangue dei bambini africani. In Congo, infatti, vengono sfruttati dalle multinazionali occidentali circa 40mila bambini che lavorano in condizioni estreme per più di dodici ore al giornosenza alcuna protezione e percependo salari da fame per estrarre il cobalto, metallo utilizzato nella produzione di batterie al litio :L’ambasciatore italiano Luca Attanasio prima di essere brutalmente ucciso stava cercando di togliere i bambini congolesi dalle miniere per portarli nelle scuole, ma non ha fatto in tempo a realizzare il suo proposito chiosa Diawara– l’hanno fatto fuori prima…”.

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