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Omicidio Mormile, il gup: “Ucciso perché a conoscenza dei rapporti tra ‘ndrangheta e servizi segreti? Verità prospettabile”

La tesi “alternativa” sull’omicidio di Umberto Mormile, educatore del carcere di Opera ucciso dalla ‘Ndrangheta nelle campagne di Carpiano, nel Milanese, l’11 aprile del 1990, ossia che venne ammazzato perché era “a conoscenza” dei rapporti tra ‘Ndrangheta e servizi segreti, in un contesto di “intreccio di poteri”, non è “irragionevole”, non è l’unica verità “possibile”, ma è “concretamente prospettabile”.

Lo scrive il gup di Milano Marta Pollicino nelle quasi 170 pagine di motivazioni della sentenza del 15 marzo scorso con cui sono state inflitte altre due condanne, a distanza di quasi 34 anni dai fatti: 7 anni ai due collaboratori di giustizia Salvatore Pace e Vittorio Foschini, finiti imputati in seguito alla riapertura delle indagini voluta dai familiari di Mormile, fratello, sorella e figlia, col legale Fabio Repici.

Dalle motivazioni, che ripercorrono passo passo gli atti di numerosi processi del passato tra cui quello sulla cosiddetta “‘Ndrangheta stragista” e le dichiarazioni di numerosi collaboratori, viene a galla, in sostanza, una nuova “verità prospettabile”, rispetto a quella emersa con le condanne anni fa per l’omicidio di Mormile, già inflitte, tra gli altri, come mandanti ai boss della ‘Ndrangheta Antonio Papalia, Franco Coco Trovato e Domenico Papalia. Mormile, infatti, ha messo a verbale un collaboratore, doveva essere ucciso, come riportato nelle motivazioni, perché “parlava troppo e perché era a conoscenza dei rapporti” che Domenico Papalia “aveva con i servizi segreti”. Per il gup, dunque, l’omicidio Mormile si potrebbe “collocare” proprio in questo “intreccio di poteri e di precari equilibri tra forze, solo apparentemente antitetiche”.

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Mormile, 34 anni, fu assassinato l’11 aprile 1990 mentre andava al lavoro: venne avvicinato da due uomini in sella a una moto e crivellato da sei colpi di pistola.

Il pm Stefano Ammendola aveva chiesto il rinvio a giudizio per Pace, 66 anni, e Foschini, 63 anni, per concorso nell’omicidio aggravato dalla finalità mafiosa. E ciò dopo che un giudice aveva rigettato una richiesta di archiviazione accogliendo l’opposizione dell’avvocato Repici. La famiglia ha sempre sostenuto che l’educatore venne sì ucciso dalla ‘Ndrangheta, ma con una sorta di nulla osta dei servizi segreti deviati. La giudice riporta, in particolare ma non solo, le parole di Nino Cuzzola, collaboratore nei processi sulla “‘Ndrangheta stragista”, che ha messo a verbale che Mormile fu ucciso perché sapeva dei rapporti ‘Ndrangheta-servizi e “parlava troppo”.

Un “movente omicidiario”, riassume la gup, che diverge molto da altre tesi “diffamatorie” e anche da altre più “rispettose” della “memoria della vittima”, come quella che sostiene che non accettò di farsi corrompere da Domenico Papalia, detenuto. La “verità” di Cuzzola e di altri pentiti, spiega la giudice, “nella sua lineare coerenza” è “forse quella, tra le varie prospettabile e prospettate” più “in linea” con “i dati”. Tra i temi agli atti ci sono presunti trattamenti di favore che avrebbe ottenuto Domenico Papalia (sulla base di un accordo per interrompere i sequestri), come “i permessi d’uscita”, poi bloccati alla fine degli anni ’80.

In questo ultimo processo milanese la gup non doveva “individuare la reale causa omicidiaria”, anche perché Pace e Foschini erano imputati, da collaboratori, per aver messo a disposizione “una moto per eseguire l’omicidio”. Però, con tutti gli atti a disposizione, spiega la gup, “la morte di Mormile” si può oggi “ricontestualizzare” alla “luce di un’altra ‘verità'”, all’interno di uno “oscuro, ma verosimilmente ormai disvelato, intreccio di poteri e di precari equilibri tra forze, solo apparentemente antitetiche”.

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