-di Gaia Serena Ferrara
“Chi è questa donna? Qual è la sua essenza? Dove si ferma quell’universo e ne inizia un altro?”.
Si è aperta così, con questi quesiti all’origine, l’esposizione del fotografo amatoriale calabrese Alessandro Testa, dal titolo “Verso la luce”, inaugurata al Complesso monumentale del San Giovanni di Catanzaro proprio ieri in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne (e che rimarrà aperta al pubblico per tutto il fine settimana).
Eppure, non è la violenza nella sua forma più esplicita e cruda il paradigma attraverso cui “leggere” e interpretare gli scatti, bensì il concetto di rinascita e il percorso di emancipazione da quella violenza.
Protagoniste dei 34 scatti che compongono la mostra sono infatti 10 donne dell’Associazione Astarte (operante sul territorio fin dal 2011), fra cui anche la presidente Maria Grazia Muri che ha spiegato come tutte quante le donne ospiti del centro antiviolenza siano state entusiaste di mettersi in gioco e abbiano preso parte all’esperimento senza che vi fosse una vera distinzione fra utenti e operatrici.
“Non esiste una differenza in questo senso – ha affermato Maria Grazia Muri – noi siamo donne, non c’è distinzione fra chi ha subito violenza e chi no”.
Il messaggio di fondo vuole essere di portata universale: per tutte è possibile uscire dal proprio buio e rinascere nella luce.
Non a caso, luce e ombra sono infatti le due direttrici del percorso fotografico composto da 3 set di scatti che mettono quindi in luce 3 diversi momenti, 3 differenti fasi del percorso di queste donne.
“La direzione di partenza è l’ombra – spiega l’autore – che non è l’ombra della violenza o della tristezza, ma l’ombra di ciò che non conosciamo, delle domande che non ci poniamo e delle distanze che non colmiamo”.
Dall’ombra si passa alla luce, che è rinascita e colore.
Ma è il momento intermedio (quello che l’autore definisce “informale”) che rivela la vera natura dell’esperimento, in quanto si svela l’essenza intima e spontanea delle 10 protagoniste: a emergere e catturare l’attenzione sono i loro sorrisi, che Alessandro Testa riesce a cogliere con estrema naturalezza, senza artifici e senza filtri.
La fase informale è l’emblema della liberazione, il momento finale della transizione, l’espressione simbolica e pura del percorso di rinascita compiuto da queste donne: un frangente quasi catartico, tanto per i soggetti quanto per l’autore stesso che non solo è entrato in contatto con le sue “modelle” ma ha provato a conoscerle, a comprenderle fino ad arrivare ad emozionarsi insieme a loro a esperimento concluso.
Non si tratta insomma di una riproposizione pedissequa della classica chiave di lettura tipica del tema della violenza di genere, come spiega lo stesso autore: lo scopo infatti non è colpire, ma avvicinare e sensibilizzare senza necessariamente dover scioccare.
Riscatto e fragilità, luce e ombra, malinconia e sorrisi, buio e rinascita.
Sono questi i parametri di riferimento che l’autore offre allo spettatore affinchè quest’ultimo conosca e impari a riconoscere l’universo che ha davanti nella sua normalità, al di là dei luoghi comuni e dei pregiudizi.
“Uno dei tanti passi da compiere per arrivare a eliminare la violenza di genere – afferma Alessandro Testa – è conoscere la donna nella sua essenza: che non ha a che fare con l’immagine “social” ma è bensì nella donna che incrociamo per strada, nella donna che fa la fila al supermercato, nella donna che si rende vulnerabile di fronte a una macchina fotografica”.