di Valentina Mallamaci* – È fuor di dubbio che il Centrodestra abbia vinto e molto bene. Ma limitarsi a questa affermazione, rischierebbe di raccontare una fiaba con tanto di scontato lieto fine. È fondamentale, invece, far emergere considerazioni che vadano oltre l’ovvio.
Primo problema: è genericamente astensionismo o una delle conseguenze della folta emigrazione?
L’affluenza si ferma a circa il 44% e subito si grida al disinteresse, pochissimi giorni dopo aver gridato al grande ritorno di mobilitazione politica del popolo nelle piazze (per la Palestina…e per il proprio territorio -verrebbe da dire-?) Osservazioni alterate. La verità è che troppi calabresi non vivono più qui; magari sono ancora iscritti nelle liste elettorali, ma da anni hanno di fatto lasciato questa terra.
E perché, bisognerebbe chiedersi, avrebbero dovuto investire qualche denaro per tornare a votare in una regione che in passato non li ha saputi trattenere? Cosa li avrebbe dovuti motivare? Il reddito di dignità, quello di merito? Non basta. Quindi sì, c’è astensionismo, ma c’è anche una diaspora silenziosa: famiglie, giovani, competenze, energie che la politica non è riuscita a trattenere.
Il Cdx ha (stra)vinto, ma su una popolazione rispetto alla quale non si può ignorare questa situazione, divulgando una narrazione fin troppo edulcorata.
Vincere facile non può bastare – nè brindare solo per essere riusciti a riservarsi un’altra poltrona (ogni riferimento è puramente casuale!) – e onestà politica è anche saper dire le cose come stanno e ripartire da questa consapevolezza per dare risposte ancora più significative.
Secondo problema: le “quote rosa” sono un reale spazio di rappresentanza o solo un obbligo formale?
Premesso che emerge ormai abbastanza chiaramente quanto questo espediente falsamente affronti e risolva il problema della parità di genere, tutte le liste avevano necessariamente le loro quote rosa. Ma quante avevano davvero possibilità di essere elette? E quante rappresentavano effettivamente un proprio percorso politico meritocratico? Le “quote rosa” sono diventate spesso strumento di facciata: servono a riempire le liste, non a cambiare la politica. La vera sfida è dare spazio a donne competenti, libere, autonome e autorevoli, e dai risultati anche su questo c’è molta strada da fare: 4 su 20 (cdx) e 3 su 9 (csx) non basta.
Il nodo cruciale, dunque, è la qualità – non solo la quantità – della rappresentanza femminile.
È inutile avere tante donne in lista se poi non vengono elette, oppure se, una volta elette, restano marginalizzate nei ruoli decisionali. La doppia preferenza diventa merce di scambio nei giochi di equilibri interni ai partiti, dove si riconosce “una quota rosa” come contrappeso ad altri interessi (che fanno capo ad altri uomini), senza che ci sia proiezione politica effettiva. Le quote non bastano se non accompagnate da un cambiamento culturale interno ai partiti capace di valorizzare l’effettiva elezione e l’efficacia dell’azione femminile.
Terzo problema: a chi è stata affidata la rappresentanza del comune di Reggio Calabria?
Non si può dire certo che i Reggini siano autoreferenziali vista la generosità con cui hanno contribuito ai successi dei candidati provinciali! Percentuali alte, centrodestra forte, grande entusiasmo. Ma alla fine, la città è quasi senza rappresentanza in Consiglio Regionale. E questo è un paradosso!
Reggio ha contribuito alla vittoria, ma non avrà una sua diretta voce in Cittadella. Il sindaco uscente, unico eletto in città, parla di trionfo, ma i numeri raccontano altro: un risultato modesto, figlio più di sfide partitiche e personali che della buona politica e dell’amore per la città.
È significativo che, nella narrazione mediatica regionale, il risultato “reggino” diventi vetrina per la forza del partito vincente, mentre la sostanza è che quel consenso non si traduce in peso decisionale per la città (almeno non direttamente). E c’è poco da andar fieri: vuol dire che negli anni non si è coltivata una classe politica locale all’altezza di queste sfide? Che Reggio si accontenta di essere una “macchina elettorale”?
È auspicabile di no e che, piuttosto, il cdx territoriale sappia e voglia accogliere nuove risorse credibili, competenti e che abbiano qualcosa da dire, possibilmente in prima persona!
È doveroso chiedersi quanto quel consenso cittadino derivi da logiche locali e quanto da una valutazione politica reale di merito: quanto pesa il “marchio locale” rispetto all’efficacia amministrativa?
Ad oggi il voto “d’opinione” resta minoranza. E in un contesto di scarsa partecipazione, basta poco per far pesare molto chi muove “i signori delle preferenze”.
Il Cdx ha (stra)vinto, sì, ma non basta. Adesso serve il coraggio di guardare in faccia la realtà, soprattutto a Reggio, di far contare chi è rimasto, di dare spazio a chi merita. Perché riprendersi, a breve, le fila del comune di Reggio Calabria, non può voler dire solo “amministrare il consenso”: deve voler dire restituire dignità, fiducia e futuro a chi ancora ci crede. Finché non accadrà, nessuno può dire di aver vinto davvero!
*Giovane professionista reggina