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Reggio al bivio. Luciano Squillaci: “Basta con la politica al ribasso sui servizi”

squillacilucianoildispaccio19ottdi Valeria Guarniera – E’ il portavoce del Forum Provinciale del Terzo Settore. Ma prima di tutto è un combattente, abituato a scendere in piazza per rivendicare i diritti di tutti. Oltre le categorie, che per troppo tempo hanno diviso, portando ad una guerra tra poveri: Luciano Squillaci parla di cittadini e di politiche di comunità. E parla di speranza, nonostante tutto. Severo con la politica, che ha peccato in una totale assenza di programmazione adeguata delle politiche sociali; ma anche col mondo che lui rappresenta “che ha accettato per troppo tempo una politica al ribasso, diventando parte dell’ ingranaggio, prima di capire che prima delle risorse bisogna rivendicare i diritti”. Ne è convinto, Luciano Squillaci: a prescindere da chi andrà a governare, la rinascita di Reggio dovrà passare necessariamente dalla consapevolezza dei cittadini del loro ruolo fondamentale. Solo da questo potrà venire una nuova alba: “Se non capiranno che la vera politica dipende da loro, da noi tutti, la notte di Reggio sarà ancora lunga”

Spesso hai paragonato Reggio ad una moderna Sparta, in cui i più deboli vengono relegati in un angolo e dimenticati. In questo scenario, l’esperienza del commissariamento, quanto ha influito?

Quello di cui sentiamo la mancanza in questo momento è di avere dei riferimenti politici. Gli anni del commissariamento hanno avuto alti e bassi, con tanti momenti importanti di lotta e altri in cui in qualche modo abbiamo avuto delle risposte. Però la verità è che un Comune commissariato, soprattutto un Comune della grandezza di Reggio Calabria, è per certi versi incontrollabile, o comunque non ti dà la possibilità di avere dei riferimenti certi. Noi siamo riusciti a tenere alta la testa grazie al fatto che, soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo costruito un rapporto stretto con l’ufficio Politiche Sociali e con il dirigente con il quale abbiamo un confronto serrato. E’ chiaro che il confronto che tu hai con l’ufficio da un lato tecnico non è la risposta politica che ti può dare un Comune che non è commissariato. Quindi se io devo fare un bilancio di quello che è stato il commissariamento posso dire questo: quello che è sicuramente mancato sono state le risposte politiche. E questo per due anni, in un comune come Reggio Calabria, è devastante. Del resto è sotto gli occhi di tutti: noi abbiamo una situazione dei servizi che è all’anno zero. Cioè mancano servizi essenziali come i servizi territoriali, il “dopo di noi”, i servizi per gli immigrati e molto altro. Noi non abbiamo nulla, a parte tre o quattro centri per disabili che stanno sopravvivendo con estrema fatica.

Hai spesso parlato di “morte clinica dello Stato Sociale”… Qual è stato il momento in cui si è davvero toccato il fondo?

Ricordo il momento dell’insediamento dei nuovi commissari quando, appena arrivati – probabilmente avendo loro stessi la necessità di verificare con chi e di che cosa potevano parlare – come un momento buio. Già venivamo da una situazione di grandissima fatica e l’inizio di questa nuova fase per la città ha rappresentato, per noi, un vuoto di quattro o cinque mesi che è stato terribile. C’era, da parte loro, una sorta di diffidenza nei confronti di tutti. E c’era anche una forte dose di legalismo, che implicava tutta una serie di norme a noi fino ad allora sconosciute e che, sostanzialmente, mettevano le politiche sociali fuori da quei servizi essenziali e quindi nell’impossibilità di essere pagati. Non c’era possibilità di programmare perché non si capiva come e quanto il Comune poteva mettere. Quei mesi hanno rappresentato senza dubbio il momento peggiore. Proprio in quel periodo, per le enormi difficoltà, scendemmo in piazza con la manifestazione “Senza cuore Reggio muore”, in cui a manifestare furono soprattutto le famiglie delle persone in difficoltà e le stesse persone in difficoltà. Da lì – all’epoca c’era il commissario Panico – c’è stato sicuramente un cambio di tendenza rispetto al rapporto con il mondo del Terzo Settore. Però, ripeto, un Comune commissariato non ti dà quella dimensione politica che invece devono avere le politiche di welfare per diventare politiche di comunità.

Per tanti i commissari hanno rappresentato una sorta di facile capro espiatorio…

Io non do la colpa ai Commissari. Piuttosto me la prendo con la legge sullo scioglimento dei Comuni. Nel senso che secondo me è una legge che và riformata. E’ ovvio che in presenza di infiltrazioni mafiose e di evidenze di infiltrazioni della ndrangheta all’interno di un Comune si debba assolutamente intervenire. Però, in un Comune di duecento mila abitanti, sostituire un consiglio comunale di 32 persone, 8 assessori, un sindaco con tre persone – che tra l’altro non hanno un compito politico ma hanno un compito istituzionale di rimessa in sesto dei conti e di attenzione alle infiltrazioni – è chiaro che ti porta a vivere in una situazione di grossissima difficoltà e di emergenza. Quindi secondo me và riformulata la legge. Detto ciò, i Commissari certamente non devono pagare le colpe di chi ha governato la città prima di loro.

Ancor prima di essere portavoce del Forum provinciale sei un combattente, da sempre impegnato nella lotta per il riconoscimento dell’uguaglianza sociale. Hai avuto a che fare con le varie amministrazioni che nel corso degli anni si sono susseguite: ricordi un periodo meno difficile? Un interlocutore realmente interessato a instaurare un dialogo?

Ricordo che nel periodo in cui c’era Italo Falcomatà si respirava un’aria diversa. Però lì ero semplicemente un giovane interessato a questi temi, non avevo rapporti istituzionali ed ero all’inizio del mio impegno. Poi il primo Scopelliti, probabilmente anche sull’onda di quello che era stato fatto precedentemente, ma anche per una reale volontà di rinnovamento e per una certa disponibilità di risorse, in qualcosa ha lasciato il segno. All’epoca il Comune di Reggio Calabria fu il primo a fare il regolamento di attuazione per la legge sugli accreditamenti (la 328). Primo e unico Comune in Calabria. E’ stato fatto nel duemila ed è arrivato in proroga fino a sei mesi fa, quando abbiamo ricominciato a discuterlo. Adesso c’è il nuovo accreditamento dei servizi domiciliari, ma ancora è in vigore quel regolamento. Significa che è una cosa che è stata fatta in maniera adeguata, e questo sicuramente è un elemento positivo. Poi il buio e la consapevolezza che una reale programmazione dei servizi è mancata sempre, chiunque abbia governato. Da quando ci sono io, non ricordo un momento felice. Ma, volendo cogliere il lato positivo, possiamo dire che proprio nel momento in cui abbiamo iniziato a soffrire – nel senso che la gente aveva sempre meno diritti – c’è stato questo senso di rivalsa, questo afflato di dignità da parte delle organizzazioni del Terzo Settore, soprattutto quelle storiche, e da lì sicuramente si è andati verso un percorso unitario che ha poi portato alla costituzione del Forum del Terzo Settore. Probabilmente, ci fosse stata quella situazione che io chiamo “della politica della distribuzione” – che in diversi momenti della storia di Reggio Calabria c’è stata – ci si sarebbe accontentati. Quando poi i “contentini” – che venivano dati a tutti (chi più e chi meno) e quindi si stava tutti bene (chi più e chi meno) – sono finiti perché non c’erano più le risorse, siamo stati costretti a parlare in termini di equità. Io l’ho sempre detto e lo ribadisco: il Terzo Settore non è assolutamente esente da colpe. Cioè, se oggi lo stato dei servizi è quello che è non è che noi non centriamo nulla. Io sono convinto che le politiche di una città le fanno, ovviamente, i riferimenti istituzionali ma le fanno anche i cittadini. Anzi, le dovrebbero fare soprattutto i cittadini. Nel silenzio e nell’indifferenza o, peggio ancora, nella collusione dei cittadini è evidente che le cose vanno nella direzione sbagliata.

Quali sono le colpe del mondo del Terzo Settore?

La colpa più grande è stata quella di accontentarsi di una politica al ribasso sui servizi. Una politica che di fatto, nel corso degli anni, è andata sempre di più a scendere, dividendo il mondo del Terzo Settore sulla base delle categorie. Quindi non si è pensato alla persona in difficoltà come un cittadino ma si è pensato alla persona in difficoltà come il problema che rappresenta. Si pensava al problema e non alla persona inserita in un contesto. Questo ha fatto si che ogni problema venisse inserito all’interno di una sorta di box mentale con la conseguente lotta tra poveri. Perché nel momento in cui tu riesci a dividere i diversi segmenti di una linea che invece dovrebbe essere continua, è chiaro che poi ti dividi le risorse sulla base di quelli che sono gli interessi, le lobby, le clientele, le amicizie cercando di portare sempre più acqua al tuo mulino. Il Terzo Settore ha accettato questo tipo di politica, diventano parte di un ingranaggio. Col tempo ci siamo costruiti la consapevolezza della necessità di rivendicare diritti e non risorse. Ma è stato un processo lento.

Le difficoltà, innegabili, da un lato e dall’altro quella sorta di ricatto morale che spinge gli operatori del Terzo Settore ad andare avanti nonostante tutto: chiudere una struttura o dover rinunciare ad un servizio significa far pagare un prezzo troppo alto a chi, davvero, di colpe non ne ha.

Anche il movimento di protesta, di sensibilizzazione e l’attivismo che noi abbiamo avuto negli anni, ha sempre dovuto fare i conti con questa sorta di ricatto che noi abbiamo. Che è un ricatto positivo, intendiamoci. Nel senso che noi non possiamo fare la “serrata” come fanno i commercianti; non possiamo stabilire che domani smettiamo di accogliere le persone all’interno delle strutture, perché questo significa ridurre ulteriormente i diritti di queste persone. Anche nei giorni delle manifestazioni, essendo in piazza, è stato sempre faticoso riuscire a capire come fare a garantire comunque quei servizi indispensabili. Le cooperative che lavorano nel campo delle politiche sociali non possono essere accomunate al mercato ordinario. Questo è il punto fondamentale. Allora, fino a quando non si comprende che, dietro questi servizi, c’è un aspetto che è sociale, valoriale, etico, non si può dialogare.

In che senso non possono essere accomunate al mercato ordinario?

Mi spiego: adesso, giustamente, anche i servizi sociali vanno a gara. E anche questi servizi vanno alla Stazione Unica Appaltante della Provincia, come qualunque altro intervento pubblico che deve essere messo a gara. Ora, non è possibile che, nelle valutazioni, vengano messi alla stregua per esempio dell’impresa edile. Sfiderei chiunque a venire a guardare i bandi che vengono fatti per i servizi sociali (parlo della SUAP) che vengono di fatto fotocopiati su modelli per i bandi legati ad altre attività, che prevedono delle cose allucinanti. Faccio un esempio: nel momento in cui tu vai a costruire un ATI (associazione temporanea imprese,ndr), quindi vai a mettere insieme due imprese, nel caso in cui entrambe hanno i requisiti per partecipare singolarmente, c’è una regola che ti impone, pena l’esclusione, di spiegare come mai queste due imprese, potendo partecipare singolarmente, hanno deciso di unirsi. E’ chiaro che questo è un tentativo per vedere se c’è qualcosa di non proprio trasparente. Ma questo, che nel mondo del profit può essere anche, in alcuni casi, un disvalore, nel mondo del non profit è sempre un valore: è assolutamente positivo che più realtà si mettano in rete. Cioè, come spiego che dopo anni di lavoro, con fatica, siamo riusciti a mettere insieme più organizzazioni per partecipare ad un progetto? Capisci che sono delle cose che vanno fuori da ogni logica. Dovrebbe essere fatto un codice ad hoc per gli appalti per i servizi alle persone. E di esempi così ce ne sono tantissimi. Questo è il punto. E questo è il problema.

E per i servizi che le organizzazioni del Terzo Settore gestiscono per conto del Comune?

Chi gestisce servizi per conto del Comune, oggi, deve essere vincitore di gara o accreditato. Se è un bando relativo ad un servizio unico che non può essere spacchettato si fa una gara e possono partecipare le organizzazioni del Terzo Settore. E lì entra in gioco la 163, la SUAP e tutto quello che ne consegue. Nel caso in cui invece ci sia la possibilità di un discorso più largo, allora si entra nel regime di accreditamento. E questo, secondo me, è il regime più logico e vicino a quello che il mondo del Terzo Settore fa. Per esempio l’assistenza domiciliare, che prevede un determinato budget, ha al suo interno – proprio perché tratta di servizi alla persona – un elemento che non ci può essere per esempio nella costruzione delle strade, che è il diritto di scelta dell’utente. Cioè, il cittadino ovviamente non può scegliere la ditta che completerà quei determinati lavori. Ma non è la stessa cosa se quel cittadino deve aprire la porta ad un assistente di una cooperativa piuttosto che di un’altra: vorrà avere, giustamente, il diritto di scelta. Ed è un diritto che è sancito dalla Corte Costituzionale. Il regime di accreditamento lo garantisce. Sostanzialmente, il Comune fissa dei requisiti di qualità, professionalità, di struttura, di esperienza e chi ce li ha si può accreditare. Poi è il cittadino che sceglie in chi riporre la propria fiducia. Questo è il regime che noi vorremmo, in senso generale, perchè è quello che maggiormente tutela il cittadino. Per quei servizi in cui si devono fare le gare, vorremmo che fossero fatte in maniera logica, legata ai meccanismi del Terzo Settore.

A breve le elezioni e il futuro della città, prima, e della Regione, poi, sarà affidato ad una nuova classe politica. Nelle parole – e nei programmi – dei vari candidati hai intravisto un reale interesse alle politiche sociali?

Stando a quello che dicono i vari candidati nei loro programmi – sarà perché queste tematiche sono state molto presenti sulle pagine dei giornali, sarà perché c’è un minimo di sensibilità in più – devo dire che la questione dei diritti delle persone più deboli mi sembra sia al centro dell’agenda di tutti. Quello che io vorrei – ed è un consiglio che do direttamente ai nove candidati – è che si smettesse di parlare di risorse per il Terzo Settore: il Terzo settore è uno strumento, le risorse sono per i cittadini. Il rischio è di confondere il Terzo settore con quello che fa. Le risorse sono per le politiche di comunità. Mi rivolgo ai candidati: non dite “Noi ci occuperemo del Terzo Settore” perché noi non abbiamo bisogno che ci si occupi di noi. Piuttosto abbiamo bisogno di politici che svolgano bene il loro ruolo portando avanti delle politiche di comunità serie. Poi il Terzo Settore svolgerà il suo ruolo. Una cosa è certa: noi non faremo sconti a nessuno e vogliamo che nessuno li faccia a noi. Crediamo moltissimo nel ruolo istituzionale di chi andrà a governare la città: vogliamo rispetto per quello che siamo e garantiamo rispetto per quello che sarà.

Proprio a noi, qualche mese fa, hai parlato di un punto fondamentale che nell’agenda del nuovo Sindaco dovrà avere la massima priorità: la creazione di una programmazione adeguata delle Politiche Sociali

Lo confermo. Fin ora in realtà non abbiamo mai avuto una programmazione. Chiaramente mi riferisco ad una programmazione che veramente riesca a farci fare il salto di qualità, passando dalle politiche di categorie alla politica di comunità e intendendo le persone in difficoltà come cittadini. E questo implica anche la possibilità di costruire un nuovo modello. Bisogna partire dal presupposto che il modello che fino ad oggi è stato portato avanti in tutta Italia sulle politiche di welfare è un modello che è fallito. E oggi noi ci troviamo a lavorare all’interno di un modello che è fallito. Lo dimostrano non solo i servizi che sono venuti meno, ma anche i risultati, le valutazioni dei percorsi fatti che di fatto non rispondono più a quelli che sono i bisogni emergenti di una comunità. Allora, bisogna ricostruire il modello. Non è un problema di risorse, lo ribadisco: è un problema di programmazione perché se le risorse sono poche e manca una programmazione, è sicuro che una parte di queste verrà sprecata.

Per ribadire l’importanza della partecipazione pubblica alle fasi di programmazione, gestione e verifica dell’utilizzo delle risorse europee per lo sviluppo del nostro territorio, avete istituito un gruppo di lavoro – di cui fanno parte rappresentanti del Forum del TS, della Consulta del volontariato, dei Csv e del loro Coordinamento regionale, del CoGe Calabria – che ha redatto un Protocollo d’Intesa per la programmazione e gestione partecipata dei fondi UE2014/2020

Si. Un’altra partita sicuramente fondamentale che ci stiamo andando a giocare è proprio questa, perché rappresenta sicuramente un’occasione fondamentale per tutta la Regione Calabria e per la nostra città. Il problema delle politiche comunitarie non è solo il fatto – comunque rilevante – che non si riesce a spendere i soldi in maniera adeguata. Che comunque è già un problema, se consideri che noi della vecchia programmazione siamo arrivati credo al 50% della spesa ed è una cosa vergognosa. Ma il problema è anche l’integrazione delle diverse fonti di finanziamento. Per questo io dico che è fondamentale la programmazione perché nel momento in cui tu vai a fare la programmazione di un piano strutturale per i servizi sociali a Reggio Calabria, non puoi non considerare, oltre alle risorse del Comune, anche le risorse derivanti dalle politiche comunitarie. Per questo abbiamo istituito un tavolo permanente con il quale ci presentiamo come organismo unitario nelle diverse sedi di programmazione per provare a strutturare dei percorsi che vadano verso una programmazione adeguata.

Se il futuro Sindaco te lo dovesse chiedere, saresti disposto a metterti in gioco entrando a far parte della squadra che da qui a breve governerà la città?

Sicuramente, nel momento in cui io ricevo una qualunque proposta, devo prima di tutto vedere se questo è in linea con quelli che sono i miei valori, il mio impegno e – da cattolico – la mia “chiamata”. Discerneremo se mai ci sarà questa necessità.

Il 26 ottobre si avvicina e Reggio è a un bivio. Sei fiducioso?

L’ho già detto e lo ripeto: oggi non parlare in termini di speranza a Reggio Calabria è delittuoso. Io sono convinto che questa città ha un grande futuro. Il 26 ottobre i cittadini avranno la possibilità di fare un primo passo. Prima di tutto mi aspetto che tutta Reggio vada a votare, perché al di là di tutto il voto ha un preciso significato per quello che rappresenta. E poi mi aspetto che tutta Reggio vada a votare in maniera libera e consapevole, andando a guardare bene chi sono i candidati e le loro storie. Perché le persone non nascono dal nulla ma hanno una storia. Allora io mi auguro che ognuno, dopo aver verificato, voti secondo coscienza. Se questo accadrà Reggio avrà un grande futuro, a prescindere da chi vince. A fare la politica di Reggio non dovranno essere i 32 consiglieri comunali ma i cittadini. Fino a quando i cittadini non decideranno di fare la politica, Reggio sarà ancora nella notte. Quando capiranno che politica significa partecipare al bene comune allora Reggio vedrà una nuova aurora.

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