“Credo che non ci sia sogno più bello di un mondo dove il pilastro fondamentale dell'esistenza è la fratellanza, dove i rapporti umani sono basati sulla solidarietà, un mondo in cui siamo tutti d'accordo solla necessità della giustizia sociale e ci comportiamo di conseguenza” - Luis Sepúlveda
HomeFake NewsCoronavirus e fake news: ricerca della Società Italiana di Intelligence

Coronavirus e fake news: ricerca della Società Italiana di Intelligence

Whatsapp600Faro di Socint sulle fake news e la paura al tempo del coronavirus. A generare il panico nella popolazione non è infatti “solo la dimensione sanitaria” del Coronavirus ma anche “quella immateriale del contagio che avviene attraverso fake news, disinformazione e incoerenza delle dichiarazioni delle autorità”. L’individuazione del problema di un contagio mediatico è il primo esito della ricerca “La pandemia immateriale. Gli effetti del Covid-19 tra social asintomatici e comunicazione istituzionale” condotta dal 1 febbraio al 10 aprile 2020 da Luigi Giungato, ricercatore della Società Italiana di Intelligence presieduta da Mario Caligiuri, Direttore del Laboratorio sull’Intelligence dell’Università della Calabria, che ha collaborato all’iniziativa. Attraverso gli strumenti della sentiment analysis applicata ai media, nello studio è stata analizzata la “narrazione mediatica” del fenomeno ‘Coronavirus’ nel nostro Paese, “per individuare sia la dimensione immateriale del contagio, sia i suoi effetti sull’opinione pubblica”. Il risultato che si evince è quello “di un’emergenza e di una psicosi subìta da parte della popolazione italiana, al contrario di altre comunità nazionali in cui è stata la società civile a dettare le azioni delle autorità, come nei casi rilevati di Gran Bretagna, Spagna, Svizzera e Belgio”. Attraverso Google Trends, Buzzsumo e Brand24, riferisce la Socint, “si sono elaborati i grafici riguardanti i trend di interesse del pubblico e dei news media nei riguardi del termine “Coronavirus”. Questi dati sono stati poi confrontati con quelli di altri Paesi, rilevando che l’Italia ha avuto un ruolo trainante nella narrazione dell’emergenza globale e che la percezione nazionale è stata prevalentemente determinata dalle decisioni e dalle dichiarazioni delle istituzioni pubbliche”.

–banner–

“Peraltro tali dichiarazioni, -sottolinea Caligiuri- non sempre coerenti fra di loro, hanno influito non solo sulla percezione del rischio, quanto sulla narrazione della paura. Infatti, fino alla dichiarazione dello stato di emergenza della Lombardia il 20 febbraio, le attenzioni del pubblico relegavano il Covid-19 solo ai margini delle priorità. Da allora la pandemia è entrata prepotentemente a fare parte dell’agenda collettiva italiana, influenzando anche quella internazionale. Dalla ricerca si è però rilevato anche che la prima tendenza da parte del pubblico italiano sia stata quella di sottovalutare il rischio”. Socint rileva che è “dalla successiva conferenza stampa del 27 febbraio del Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che si presentò in mascherina dichiarando di volersi autonomamente sottoporre a quarantena, che si sono moltiplicate le dichiarazioni delle autorità, politiche e sanitarie, veicolate dai mass media. Tali dichiarazioni hanno potentemente condizionato la percezione collettiva, fino a determinare uno shock comunicativo che ha modificato bruscamente in maniera drammatica la narrazione della malattia”. In altri Paesi, “al contrario, -segnala Socint- sono state determinanti le pressioni della società civile, diffuse attraverso i social, a dettare le agende dei media e, di conseguenza, le azioni di Governi, che all’inizio il più delle volte erano piuttosto scettici”. Inoltre la ricerca ha rilevato che “in questo periodo in cui il distanziamento sociale imposto dall’autorità ha reso la popolazione più dipendente che mai da computer, smartphone e tv, la percezione della realtà che ci circonda si sta basando esclusivamente sui mezzi di informazione di massa e interpersonali, tra i quali emerge il ruolo non facilmente misurabile ma influentissimo di WhatsApp, all’analisi del quale è dedicata una parte cospicua della ricerca. Infatti, nella città virtuale in cui la maggior parte della popolazione è costretta a vivere, la disinformazione si propaga con la stessa aggressività del virus biologico, attraverso la condivisione collettiva di narrazioni frammentate e incoerenti, il più delle volte false e molto spesso all’insaputa di chi le trasmette”.

Articoli Correlati