“Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo” - Jean-Paul Sartre
HomeCelluloideCelluloide Cosenza“Una femmina” di Francesco Costabile: la violenza evocata ma brutalmente presente nello...

“Una femmina” di Francesco Costabile: la violenza evocata ma brutalmente presente nello sguardo di una donna che si ribella alla ‘Ndrangheta

UNA FEMMINA 1 1di Roberta Mazzuca – Dopo la presentazione al 72esimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino, nella sezione Panorama, “Una femmina” di Francesco Costabile arriva anche in Calabria, dove giovedì 17 febbraio si è tenuta, presso il cinema Citrigno di Cosenza, la presentazione del film, alla presenza del regista e della protagonista. Un’opera forte, drammatica, che arriva prepotentemente lì dove quella storia è ambientata, nei luoghi di cui narra, tra la gente di cui fa parte, ma che, proprio per la modalità in cui quel mondo viene raccontato, per il coraggio, la sincerità, e anche la rivalsa, rende pieni di orgoglio e ammirazione. Non solo il film parla e vive di Calabria, ma anche il regista, Francesco Costabile, nato proprio a Cosenza, nonché l’attrice protagonista, Lina Siciliano, nata a Cariati e cresciuta nella struttura d’accoglienza “Madre Elena Aiello” di Cosenza.

Prodotto da Attilio De Razza, Pierpaolo Verga e Giampaolo Letta di Medusa, “Una femmina” è ispirato al libro “Fimmine ribelli” di Lirio Abbate che, insieme ad Edoardo De Angelis, ne è anche sceneggiatore, e racconta la tragica storia di Rosa, giovane dal carattere ribelle, che vive insieme alla nonna e allo zio in un paesino calabrese, sito tra le montagne e i corsi d’acqua ormai asciutti. Quando un trauma proveniente dal passato irrompe nel suo presente, la ragazza si rende conto quanto esso sia legato alla morte di sua madre. Una morte della quale cercherà una personale vendetta di sangue, all’interno di un contesto familiare appartenente alla ‘Ndrangheta, in cui vendicarsi significa tradire la propria famiglia, e ogni scelta può rivelarsi mortale. “La storia parla di una rimozione traumatica – ha affermato il regista – quella di Rosa verso la morte di sua madre e di violenza sul corpo delle donne”.

–banner–

Nell’intervista a noi rilasciata prima della visione del lungometraggio, allora, abbiamo voluto innanzitutto chiedergli quale fosse il ruolo del corpo e della corporalità in un film che parla di ‘ndrangheta, violenza, ma anche libertà di scelta, etica e coraggio. “Un valore fondamentale – risponde il regista – perché “Una femmina” è la storia di una ragazza che deve riscoprire quello che è successo a sua madre, uccisa perché testimone di giustizia dai membri della sua stessa famiglia. Ma lei ha dimenticato, deve cercare di rimettere insieme i pezzi di una memoria sfocata, quindi il corpo è fondamentale, perché è l’inconscio di Rosa a parlarle. Parte fisicamente, da un malessere, da un trauma, la sua riscoperta della verità”.

Dal corpo alla parola, dalla parola al silenzio, elemento centrale nel film, ed elemento centrale delle associazioni mafiose. “La mafia uccide, il silenzio pure”, diceva Peppino Impastato, e in “Una femmina” il silenzio parla, così come il corpo e lo sguardo della protagonista, assordante urlo di protesta e contestazione che invade lo schermo e colpisce prepotentemente lo spettatore. “La parola è fondamentale – dice ancora Costabile – perché Cetta, ispirata a Maria Concetta Cacciola, viene uccisa proprio per aver parlato. La riflessione sulla parola è centrale, cosa si può dire e cosa non si può dire. È un film dove, a tratti, il dialogo si sfuma, ma non per questo diventa più debole. Anzi, diventa più forte, più teso, perché in queste famiglie l’omertà e il silenzio sono quasi una regola base. Il non poter parlare di determinati temi, e il silenzio imposto su determinati temi” – conclude il regista.

Silenzio, parola, e libertà. Temi su cui quest’opera ruota e si incardina, e in relazione ai quali ha fatto, allora, molto discutere, la decisione da parte del Ministero della Cultura di vietarne la visione ai minori di 14 anni. Un film di denuncia, che parla di emancipazione e positiva ribellione, che proprio alle nuove generazioni dovrebbe essere maggiormente rivolto. “Siamo rimasti molto colpiti – dice il regista – perché si tratta di un film di denuncia alle mafie, contro la violenza sulle donne, per cui vietarlo è un messaggio poco didattico. Di questi temi bisognerebbe parlarne, soprattutto ai più giovani. Il film, tra l’altro, è violento, ma non ha scene particolarmente violente, si tratta di una violenza quasi invisibile, o comunque nel fuori campo.” Una decisione su cui, fortunatamente, la Commissione ha fatto un passo indietro, facendo cadere il divieto e restituendone la visione a tutti.

Un film che parla di violenza, senza mai mostrarla in maniera esplicita e cruda. Rimane confinata al fuori campo, nascosta, evocata, eppure terribilmente presente. È proprio questo uno dei punti di forza del lungometraggio di Costabile, capace di mostrare allo spettatore una crudeltà e una ferocia difficile da digerire e vedere, pur non mostrandola mai. La stessa capacità che ha la protagonista, Lina Siciliano, quando, senza dire una parola, dice ogni cosa attraverso lo sguardo. “Ho sentito la necessità di dover scegliere un’attrice che portasse in scena un vissuto, una forza autentica, che potesse restituire dignità alle donne vittime della ‘Ndrangheta. Ho viaggiato in diversi contesti in tutta la Calabria, e poi ho incontrato Lina Siciliano, un talento straordinario, cresciuta a Cosenza, la cui forza è stata proprio quella di aver lavorato sul suo vissuto e sulle sue ferite”.

Donne che trovano il coraggio di ribellarsi e riscattare la propria esistenza, in una visione inedita della strutturazione ‘ndranghetista, che ci viene mostrata attraverso uno sguardo dal quale non siamo abituati a considerarla, quello delle donne. Spesso, come ci dice il regista, gli uomini muoiono o finiscono in carcere, e allora sono le donne a portare avanti le famiglie, con matrimoni, e con l’educazione criminale. Nel momento in cui queste si ribellano, ecco allora che l’intera struttura crolla. Questo il senso finale del film che, però, racchiude un messaggio universale, non soltanto di lotta alla mafia e alla criminalità, ma che parla a tutte le donne, potremmo dire anche a quelle giovani donne che, proprio in queste ultime settimane, si stanno ribellando, in territorio cosentino, a un clima di violenza e di omertà dal quale si sentivano schiacciate e sopraffatte.

“La ‘Ndrangheta è anche una manifestazione culturale, bisogna saperla interpretare anche nelle piccole cose, è un modo di pensare, possiamo ritrovarlo perfino nel quotidiano”. Così conclude la nostra intervista il regista, prima di lasciarci alla visione di uno dei film più originali e inaspettati sul fenomeno ‘Ndrangheta.

Articoli Correlati