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Quando il pallone gonfia la rete sbagliata

di Paolo Ficara – Il mese di novembre si avvia alla conclusione con più diffide inviate che vittorie ottenute, per La Fenice Amaranto. Il club che si è visto consegnare il titolo sportivo dal Comune di Reggio Calabria dopo la mancata iscrizione di una Reggina aziendalmente ancora viva, è stato contestato al termine del match perso al “Granillo” contro il Real Casalnuovo in Serie D.

Una contestazione che ha visto diverse decine di tifosi muoversi dalla curva fin davanti ai cancelli della tribuna, dopo il fischio finale. Toni forti e notevole compattezza: roba che non si vedeva dagli ultimi mesi dell’era Foti. Trovando nel presidente Virgilio Minniti l’unico rappresentante degnatosi di avvicinarsi, è stato chiesto a gran voce che gli attuali reggenti se ne tornino a Catania.

Da troppo tempo, praticamente dalla nascita, la passione per il calcio ci consente di comprendere il potere di un pallone che gonfia la rete.

Inutile chiedersi, infatti, cosa sarebbe accaduto in caso di pareggio o di vittoria della Fenice. Pur non seguendo, per precisa scelta, le sorti tecniche dell’attuale avventura calcistica a Reggio Calabria, ci auguravamo sinceramente che il club assegnatario portasse più in alto possibile il nome della città. Sperando altresì che gli eventuali risultati positivi o comunque non deprimenti, avrebbero comunque consentito lo sviluppo di un pensiero critico.

Di sicuro non speravamo nelle sconfitte, affinché gli occhi venissero aperti lì dove si era preferito tenerli chiusi su fatti evidenti. Ne citiamo uno per tutti, partendo dai primissimi giorni: questo club ha avuto bisogno – o comunque non ha rifiutato – delle 500 o delle 700 euro di corrente al Sant’Agata, mantenute quotidianamente e per una settimana dalla Città Metropolitana. Soldi pubblici utilizzati per un privato. Ma siamo impazziti?

Di fronte a tali ristrettezze dimostrate fin dal primo giorno di attività, come potrebbero mai ottemperare alla principale richiesta – sulla quale concordiamo – da parte della tifoseria? Ossia l’ottenimento di marchio ed identità della Reggina. Augurandoci che il fallimento della Reggina 1914 avvenga il più tardi possibile, o non avvenga proprio, non osiamo immaginare cosa si creerebbe al momento dell’eventuale bando per il marchio. Se tra i requisiti per partecipare si richiedessero esclusivamente persone fisiche il cui cognome inizia per “Balla” e finisce per “o”, probabilmente andrebbe deserto.

Inoltre avrebbe dovuto, come minimo, suscitare curiosità il fatto che il proprietario Nino Ballarino si sia auto-conferito, anziché la classica carica di presidente, quella di direttore generale. Per carità, finanche Saladini aveva deciso di lasciare la poltrona principale ad un reggino, ahinoi. Ma non ci viene in mente nessuna società italiana in cui il proprietario fa il dg, dunque auto-attribuendosi uno stipendio. Peraltro con entrambe le figlie in organigramma. Claudio Lotito si auto-stipendia nella Lazio, ma è il presidente. Giornalisti al seguito che hanno sottolineato questa particolarità? Risposta facilissima: zero.

Se doveva servire il gol di Vincenzino Sarno per il Real Casalnuovo a scatenare la contestazione verso la proprietà de La Fenice Amaranto, ci chiediamo cosa sia necessario per rimuovere ben altre piaghe. Dato che è stato tenuto o ripreso il peggio del peggio del personale transitato dal Sant’Agata, negli ultimi otto anni ed oltre.

C’è una combriccola di cinque o sei persone che continua a fare ciò che gli pare, negli uffici. Spifferando e facendo trapelare all’esterno ciò che conviene. E chi non se l’è sentita di ripartire dalla D, magari sarebbe pronto a fare carte false per tornare già in caso di C. Qualcuno è arrivato al quarto o quinto presidente consecutivo. Ed ogni volta che stanno per ricevere il benservito, o succede qualcosa al proprietario oppure viene meno direttamente il club. Perché sono ancora – o di nuovo – lì? Chi li protegge?

Non crediamo sia invece necessaria un’altra sconfitta per applicare la proprietà transitiva, spostando il malcontento verso chi ha scelto La Fenice Amaranto. Chi gli ha mantenuto la corrente, oltre a non ricandidarsi a qualsiasi futura tornata elettorale, con buon senso dovrebbe rinunciare già alla carica attuale. Nel caso di Paolo Brunetti, rimaniamo convinti della sua buona fede così come della sua insipienza calcistica: avrebbe potuto e dovuto preferire il nulla, lasciando la città senza calcio – ma anche senza le prevedibili polemiche – per un anno. Con coraggio. Anche nel suo caso, seppur a malincuore perché lo riteniamo una persona retta, sarebbe opportuno perlomeno cospargersi il capo di cenere.

Poi ci sarebbe pure un discorsetto che pensavamo o di dover tacere. O di esprimere in ben altro frangente.

In tutta Europa, forse anche nel mondo, esistono i canali tematici di club calcistici. In tutta Europa, forse anche nel mondo, non è mai avvenuto che uno speaker di uno di questi canali, andasse in onda per contestare il presidente, ossia il proprio datore di lavoro. Non è mai successo a Juventus Tv. O a Milan Tv. O a Roma Tv.

Allargando il discorso, nell’accendere su Canale 5, non ci siamo mai aspettati di sentire da Cesara Buonamici una sillaba contro la famiglia Berlusconi. Né, durante il Tg7, una filippica di Enrico Mentana contro Urbano Cairo. In ambito locale, ci sorprenderemmo se l’amico Andrea Ripepi abbandonasse la sua proverbiale pacatezza per sbottare verso Eduardo Lamberti-Castronuovo in diretta su Reggio Tv. Tuttavia potremmo ridere di gusto se Filippo Lopresti, tra un disco e l’altro, dicesse peste e corna di Santo Frascati su Video Touring. Più che altro perché immagineremmo la reazione immediata di Frascati, a cui di Hulk manca solo il colore verde della pelle: non a caso lo ha scelto per caratterizzare le proprie attività.

Questo lungo preambolo serve per dire che abbiamo assorbito tutte le critiche degli ultimi tempi, da parte di chi rimproverava frasi, mezze frasi o sillabe espresse in contesto di canale tematico. Non accettando sicuramente le critiche pilotate o quelle che hanno travalicato ogni confine di civiltà. Le altre ce le teniamo, con umiltà. Però sarebbe pure ora che il pubblico si rendesse conto del contesto.

In contesti non ufficiali, non di canale tematico, non di sponsor, si è abusato e si continua ad abusare della credulità popolare. Con la gestione Saladini come con quella attuale. C’è chi ha ammesso di aver ricevuto indicazioni dalla società, per contrastare mediaticamente chi portava avanti tesi critiche sulla richiesta di omologa da parte della Reggina di Saladini. Significa che sono state messe in circolo bugie su commissione, per denigrare chi stava provando ad offrire un pensiero rivelatosi purtroppo esatto.

Quando Saladini in riva al mare ha chiesto alla classe giornalistica di scegliere da che parte stare, ha sprecato fiato. Erano già tutti con lui, quelli che gli hanno accettato l’invito a pranzo. Idem ora con Ballarino, pure senza caffè e cornetto. Sempre dalla parte del potente di turno, se li degna di confidenza. Spacciandosi per depositari della verità, a scapito però della tifoseria.

In particolare a quelli che insistono nel chiamare “Reggina” l’attuale squadra per avere un briciolo di seguito in più, dato che accettano qualunque cosa basta che sia gratis, andrebbe offerto un viaggio dicendogli che c’è da seguire un’amichevole della Reggina all’estero. Magari in Libia, in Venezuela o in Papuasia. Tutti su uno zatterone. Con tragitto di sola andata, però. Forse sarebbe l’unica maniera per rifondare una classe hobbistica più che giornalistica, che da anni rappresenta un grosso limite per la nostra città.

Tornando ai contenuti della contestazione: ci dispiace, ma non siamo d’accordo. Altro che andarsene. L’attuale proprietà de La Fenice Amaranto dovrebbe restare al proprio posto fino al termine della stagione, pagando tutto quello che c’è da pagare fino all’ultimo centesimo. Proprio ora che la Dante Alighieri dovrebbe confluire nell’università Mediterranea, devono dimostrare che non era quello il motivo della loro presenza a Reggio. E non gli vanno offerti pretesti su un vassoio d’argento.

La politica dovrà occuparsi di individuare una soluzione migliore, da qui a maggio, convincendo i beneficiari iniziali a lasciare alle giuste condizioni. Chi viene a Reggio da altre città ha sicuramente i propri interessi, ma sarebbe ora di smascherare gli altarini a chi da troppo tempo bada al proprio orticello a discapito dell’interesse comune. Ed in molti casi, non vengono affatto da fuori.

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Cara Reggina, ci rivediamo nel 2024. Forse…

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