Si è svolta ieri, sabato 24 giugno, la cerimonia di premiazione dei vincitori dell’undicesima edizione del Sila ‘49. Negli spazi esterni di Palazzo Arnone, Maria Grazia Calandrone (sezione Letteratura), Maurizio Pagliassotti (premio speciale) e Silvia Vegetti Finzi (premio alla carriera) hanno ricevuto i bronzetti realizzati per l’occasione dal maestro Mimmo Paladino davanti a un foltissimo pubblico che, nei giorni dedicati all’annata 2023 del Premio diretto da Gemma Cestari, si è reso partecipe dei numerosi incontri, appuntamenti e lectio realizzate nel cuore vivo e pulsante del centro storico bruzio.
Tre voci, tre finestre sul mondo. Calandrone ha scritto un libro, “Dove non mi hai portata” (Einaudi), denso della sua biografia e della storia di Italia. «I miei genitori, quando io ho 8 mesi, si uccidono a causa di una serie di vuoti legislativi e morali – ha detto l’autrice – Mia madre, da ragazza, è costretta a sposare un uomo che non ama: la sua ribellione è, in seguito a quel matrimonio, quella di innamorarsi di un altro uomo, sposato e più grande di lei. Insieme desiderano una vita nuova. Ma le cose non vanno bene, sono vittime di denuncia e pregiudizi, e allora architettano un piano di suicidio e abbandono, il mio. Sognano – ha concluso – per me la vita che ho effettivamente avuto».
E si prosegue con Maurizio Pagliassotti, il reporter di frontiera, autore de “La guerra invisibile” (Einaudi). «Ciò che c’è nelle mie pagine è una brutta storia, però questa storia non è ancora finita; che ci sia un premio letterario come questo – ha dichiarato il giornalista -, che dà riconoscimento a un libro sui migranti, significa, del resto, che davvero la storia dei migranti e dei più deboli non è ancora finita. Ma anche il fatto che esistano città come quella di Cosenza, dove in centro ci si imbatte negli umili e nei poveri, altrove nascosti, significa che c’è ancora speranza».
Infine, la psicologa e pedagogista Silvia Vegetti Finzi, da sempre attenta ai diritti dell’infanzia. «Sono sempre stata la più giovane, nello studio, nel lavoro, nel matrimonio, sebbene non nella maternità. E ora, invece, mi ritrovo spesso a essere la più vecchia. Ho 85 anni e sono la più vecchia. Ma anche a 85 anni si deve imparare, imparare ad avere 85 anni. Difendiamo le nostre vite sempre, dunque, diamo luce a questo mondo oscuro in ogni tempo», è stato l’invito del premio alla carriera.
Il manifesto dell’undicesima edizione del Premio Sila è stato, inoltre, firmato dall’artista di fama internazionale Paolo Canevari. «Il mio disegno è evocativo di un paesaggio che attraverso una tecnica particolare sembra macchiato, inquinato, così come è inquinato il pensiero – ha dichiarato l’artista -. Oggi l’arte viene intesa come strumento di spettacolarizzazione, al contrario l’arte deve creare dubbi e visioni. Deve fungere da resistenza, mettere in discussione il sistema che ci vuole tutti uguali, inquinati».
Durante l’evento, condotto dal giornalista Paride Leporace, sono state lette le pagine del libro dell’avvocato Giuseppe Farina, “E poi l’anima mi chiese un altro viaggio” (Pellegrini), che convive dal 2016 con la Sla e continua a resistere, attraverso le idee, le parole, appunto i libri.
Le conclusioni sono state, in ultimo, affidate al presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini: «Spesso mi viene chiesto perché portare avanti una manifestazione letteraria di questo tipo. Io puntualmente rispondo che una farfalla che batte le ali provoca un uragano dall’altra parte del mondo. Questo premio è quel battito d’ali».