“A volte bisogna rischiar, fare altre cose. Occorre rinunziare ad alcune garanzie perché sono anche delle condizioni” - Tiziano Terzani
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Lamezia Terme: il vescovo Parisi ha presieduto la Santa Messa della Domenica delle Palme

“Chiediamo al Signore, rivivendo la Passione e morte di Gesù, questa grazia: di vivere nell’amore, di offrire amore perché solo l’amore vince il tradimento, la cattiveria, la paura. L’amore è segno di un Dio che è vicino, che ci ama, del quale possiamo fidarci e che ci chiama alla salvezza ed alla vita”. Così il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel concludere l’omelia della Domenica delle Palme nel corso della concelebrazione eucaristica presieduta in Cattedrale dove, insieme ad alcuni sacerdoti e fedeli, è giunto in processione dopo avere impartito la benedizione delle palme ai piedi della statua della Madonnina.

“L’amore di Gesù sa andare oltre e vuole andare al di là di tutte le nostre umane cadute e fragilità”, aveva sottolineato al termine della benedizione, sollecitando tutti ad andare “dietro il nostro salvatore e redentore. Viviamo con questa consapevolezza – aveva aggiunto – , sapendo che, poi, quello che facciamo oggi, cioè attraversare le strade della nostra vita, delle nostre città, dei nostri quartieri significa portare dentro quelle strade la parola forte del Vangelo. Vorrei invitare tutti a vivere questo momento di gioia, perché Gesù è stato accolto gioiosamente dalla folla a Gerusalemme, con la consapevolezza di andare dietro, cioè di seguire, il Signore Gesù che è re e profeta. Il re è colui che è interessato, normalmente, al bene del popolo, alla crescita, alla cura della comunità umana e civile. Ed allora il re indica che noi siamo parte di questa realtà, che ci appartiene, che ci interessa e che vogliamo guidare ed orientare con la forza della parola profetica di Gesù che è una parola di perdono ed è una parola di amore anche quando al suo gesto di amore è stato opposto il bacio del traditore Giuda”.

Bacio del tradimento ricordato anche nell’omelia: “Il bacio – ha detto, infatti, al riguardo monsignor Parisi – normalmente è un segno di affetto, di complicità, di passione. Giuda aveva capovolto anche il contenuto comunicativo del bacio: era il segno del tradimento – ‘Eccolo a voi. Ve lo consegno. Arrestatelo. Ammazzatelo’ – . Gesù al bacio del tradimento risponde con la parola del perdono; anche per Giuda, anche per Pietro, anche per i discepoli che erano scappati, anche per ognuno di noi, dice: ‘Padre perdonali perché non sanno quello che fanno’”.

Gesù, infatti, “pur essendo di natura divina – ha evidenziato il Vescovo – non considera questo come un tesoro da custodire gelosamente ma scende dentro l’abisso dell’umanità, va dentro la voragine della cattiveria umana, dentro il fuoco esistenziale dell’umanità. Gesù vuole toccare il fondo dell’umanità. È lì che va, è lì che si pone. E lo dice Paolo ‘scende’; e lo dice con una parola ‘svuotamento’, si svuota di sé. Si abbassa fin dentro le profondità della storia umana, là dove rigurgita tutto il fango della storia. È lì che Gesù si pone, non se ne fa un problema. Però, dice Paolo ai Filippesi, non finisce così perché Gesù non tocca il fondo dell’umanità, la fanghiglia sporca maleodorante della storia dell’umanità per restarci, ma la tocca perché conosce, perché sa, perché vede, perché arriva alla consapevolezza di dove, di fatto, sia potuta arrivare la fragilità, la finitudine dell’uomo. Ed allora dice ‘non è possibile restare così’”.

Quindi, ha proseguito monsignor Parisi, “c’è quell’altro dinamismo vettoriale che pone Gesù in alto nel momento della glorificazione ed anche lì il testo ci dice come la narrazione della passione e morte di Gesù che è la glorificazione del Cristo, il figlio dell’uomo che conosce il patire, avviene su un trono scomodo che è la croce. C’è scritto ‘il re dei giudei’. Quindi, uno potrebbe immaginare che questo re si fosse accomodato su una comodissima e confortevole poltrona, invece no. Il re viene dichiarato tale sul regno scomodo della croce. Però, è quel regno che ci dice ‘si muore così’, nella consapevolezza del dolore” ed “anche nella delusione del tradimento e dell’abbandono, perché Gesù, il Figlio di Dio, in quel momento solenne, grida come grida tutta l’umanità che è oppressa dal dolore. Pensiamo alle guerre, allo scempio delle guerre, all’uomo che tradisce l’uomo, all’uomo, cioè, che tradisce se stesso. Pensiamo ai terremoti, agli sbarchi – li abbiamo avuti vicini – , ai morti, a tutte le tragedie dell’umanità. Ecco, dentro questo universo intero che sente l’angoscia della morte, così come il Vangelo non ha paura di dirlo per Gesù che sentiva davvero la paura e l’angoscia della morte, Gesù grida e grida come grida ognuno di noi ed il grido più alto, che non è una bestemmia, è l’urlo dell’umanità che cerca ancora vita, respiro, luce, speranza. E Gesù grida ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?’. Quante volte abbiamo gridato così verso Dio? Quando non comprendevamo e non comprendiamo, spesso, sempre, il senso di quello che accade ed allora diciamo ‘Signore ma che cosa accade, ti sei proprio dimenticato di me?’”.

“Ecco – ha concluso il Vescovo – , Gesù, pienamente uomo, grida nei confronti di Dio dando voce ad ognuno di noi sofferente, atterrito, impaurito dal male, dalla sofferenza, dalla morte. Soprattutto quando questo dolore è gratuito, quando il male è banale, grida ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?’, ma grida nella consegna di sé al Padre. E la consegna più grande che Gesù può fare al Padre è l’amore che supera la parentesi del tradimento umano. È quell’innalzamento, quella glorificazione che sa andare alto, al di là, oltre, al di sopra delle fragilità umane e, quindi, risalito l’abisso, perché la resurrezione e la nostra fede in Gesù morto e risorto ci dicono che possiamo risalire dall’abisso, Gesù ama come nessun altro ha mai saputo amare. Il baratro si vince, se l’amore vince. Dal baratro si risale se poniamo in  alto il perdono”.

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