Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dal 2002 al 2012 e Ministro della Cultura dal 2011 al 2013, ha tenuto una lezione su “Lo sguardo corto delle élite: intelligence e decisioni pubbliche” nell’ambito del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Il docente ha trattato quattro importanti temi collegati tra loro: decisione pubblica e decisione politica, la rilevanza dell’intelligence sulla decisione politica, il tema del segreto, le élite italiane in relazione a decisione politica e intelligence.
Ornaghi ha iniziato la sua lezione spiegando il concetto di decisione pubblica e di decisione politica, ricordando che decidere è vagliare, rappresentando etimologicamente un taglio, per cui significa scegliere una direzione rispetto a un’altra.
Nei regimi democratici la decisione è quasi sempre un processo di contrattazione e compromesso. A questo proposito ha ricordato la teoria delle decisioni collettive che dal punto di vista disciplinare riesce a coinvolgere una serie di saperi che comprendono le scienze politiche, quelle economiche e quelle sociologiche.
Il docente ha anche ricordato che la decisione collettiva ha delle fasi: ci sono le attese collettive che vengono amplificate dai media; la contrattazione in cui ha un ruolo importante la psicologia politica delle masse o del singolo leader (e in qualche caso si parla di psicopatologia politica); il processo che investe direttamente il fattore tempo (quanto tempo occorre per la decisione); infine gli attori che sono in gioco e che hanno differenti stili, aspettative, culture, visioni del mondo.
Le decisioni pubbliche, al cui fondo c’è la decisione politica, sono complesse. A questo riguardo, Ornaghi ha ricordato la “categoria del politico“ coniata da Carl Schmitt, secondo cui la storia si costruisce attraverso la dicotomia tra amico e nemico.
Se per Jean Bodin l‘essenza della decisione politica è la sovranità, per Schmitt il potere autenticamente sovrano è quello di chi decide in ultima istanza il caso di eccezione, ossia il caso che richiede una decisione fuori dalle procedure preordinate e oltre le regole formali.
In questo quadro, il docente ha ricordato l’importanza del fattore tempo, che richiama il bisogno della decisione, e il tema del segreto, che oggi sembra essere stato espulso dalla decisione politica.
Infatti, nella diffusa narrazione corrente che richiama il concetto coniato da Norberto Bobbio della “democrazia come casa di vetro”, c’è lo slogan ricorrente, e perfino irritante, della “trasparenza”.
In questo modo l’arcanum viene costantemente espulso, mentre la “ragion di Stato” ha una sua fondamentale importanza e oggi, invece, viene formulata in modo apparentemente neutro o con un retrogusto negativo.
Ornaghi ha ricordato le riflessioni di Nedham, che ha affermato che “L’interesse non mente” ricordando una frase molto importante: “L’interesse di Stato è una stella che illumina tutte le corti d’Europa”.
Nella ragion di Stato convivono due orientamenti : il realismo, alimentato anche dal pensiero gesuitico di quel secolo, e la precettistica, che richiama la componente cristiana con regole conformi alla dottrina della morale cattolica.
La formula “ragion di Stato” è stata definita per la prima volta da monsignor Giovanni Della Casa, autore del celebre Galateo. Accanto agli arcana imperii ci sono anche gli arcana dominationis: i primi sono i segreti indispensabili per custodire l’interesse dello Stato e sono espressione del potere legittimo; i secondi rappresentano le decisioni non note che servono a preservare un potere che può anche essere illegittimo.
A tale riguardo, Gabriel Naudé ha mosso una critica. Infatti, in “Considerazioni politiche sui colpi di Stato” egli ritiene che il colpo di Stato – diversamente da come lo intenderanno, per esempio, Curzio Malaparte o Edward Luttwak – sia da intendere come “colpo dello Stato”, perché è lo Stato che cerca di difendere se stesso e la sua comunità da minacce esterne o pericoli interni.
Sono state inoltre ricordate le riflessioni di George Savile, marchese di Halifax, il quale sosteneva che l’interesse dell’individuo varia a seconda dei tempi e delle circostanze, tenendo conto che l’interesse vero è difficile da perseguire nel tempo, mentre lo Stato ha la stabilità per perseguirlo in modo duraturo.
Il realismo politico europeo caratterizza la ragion di Stato, mentre il segreto sembra oggi incompatibile con la vita democratica. Però, nella pratica, qualunque Stato, anche democratico, ricorre al segreto.
In relazione al tema delle élite, Ornaghi ha posto un interrogativo fondamentale: abbiamo delle élite che sanno valutare il ruolo dell’intelligence? E con quali conseguenze?
È stato infatti ricordato che oggi manca una visione del ruolo dell’intelligence, che è un tema culturale. Mentre in Inghilterra i migliori laureati vengono reclutati nell’intelligence, nel nostro Paese questo non sempre accade.
In Italia, infatti, negli ultimi anni la classe politica è stata spesso improvvisata, per tantissimi motivi. Il termine èlite fu coniato da Vilfredo Pareto e rappresenta un tema fondamentale perché incide su chi debba comandare, se uno, pochi o molti. Oggi, soprattutto tra i giovani, la configurazione concreta delle élite non coincide con quella di Pareto, che individuava èlite politiche, economiche e militari.
Pareto ha anche introdotto il concetto di “circolazione delle èlite” che considera èlite più aperte o più chiuse, studiando il meccanismo che permette di accedervi.
Oltre alla circolazione c’è il tema dell’ingresso, cioè la selezione: una élite è funzionale e duratura nel tempo quando c’è un criterio di ingresso. Ornaghi ha quindi ampliato l’orizzonte chiedendosi perché nel corso del tempo abbiano sempre comandato in pochi, ricordando che anche Erodoto, Platone e Aristotele hanno cercato di fornire una risposta a tale quesito.
Gaetano Mosca ha coniato il concetto di classe politica che è una minoranza ristretta che detiene il potere. Questa definizione si pone in opposizione al concetto di classe economica di Marx, richiamando quindi il primato della politica sull’economia.
Oggi nei sistemi democratici è l’economia che prevale sulla politica; invece, nei sistemi autocratici, ad esempio la Cina e i Paesi Arabi, è la politica che prevale sull’economia.
Michels si concentra sulla forma del partito, ricordando che inevitabilmente il partito produce una minoranza che lo governa e quindi ha definito la legge ferrea dell’oligarchia, secondo cui ogni organizzazione ha bisogno di una cerchia di pochi che comandano.
A questo riguardo Norberto Bobbio sosteneva che il potere non può che essere oligarchico ma, contemporaneamente, coniava il concetto di “democrazia come casa di vetro”.
Infine, Ornaghi ha ricordato il concetto dello “sguardo corto delle èlite italiane”, evidenziando l’aspetto storico e culturale, perché gli interessi delle classi politiche non coincidono con quelli delle èlite economiche e culturali.
Nel corso della storia italiana ci sono stati accordi su interessi contingenti ma non una condivisione dell’interesse nazionale.
Lo “sguardo corto” delle èlite pubbliche emerge proprio nell’interpretazione dell’intelligence. Le multinazionali private, invece, hanno una maggiore sensibilità sull’importanza dell’intelligence, cosa che non sembra ravvedersi nelle èlite pubbliche italiane.
Un’élite, diversamente dalla classe politica, dovrebbe avere l’idea del suo perdurare, costruendo minoranze creative che passano il testimone alle classi più giovani.
Ornaghi ha citato la definizione di politica di Rudolp Jhering: “la politica è la visione dell’interesse lontano”, per cui la dicotomia sguardo corto – sguardo lungo si collega alle sorti politiche.
Quando la politica resta imprigionata negli interessi contingenti è evidente che non può guardare lontano.
Ornaghi ha quindi ricordato il ruolo dell’intelligence, che potrebbe essere alternativo: un ruolo di condivisione e preparazione delle scelte politiche o anche di un’autonoma decisione pubblica?
Sul punto si era interrogato anche Giorgio Galli, il quale sosteneva che l’intelligence opera nelle democrazie con una logica differente da quella delle democrazie parlamentari. Pertanto, quando le classi politiche non hanno sufficiente consenso o non sono in grado di decidere, l’intelligence potrebbe svolgere il ruolo di deep State o Stato profondo per tutelare l’interesse pubblico, sostituendosi alle deficienze di chi gestisce in quel momento il potere.
Il docente ha concluso con un’affermazione: “l’intelligence è parte della pubblica amministrazione ma ha caratteristiche del tutto proprie”, rappresentando “l’amministrazione invisibile” secondo l’interpretazione di Umberto Fragola.
Ornaghi ha ricordato che sull’intelligence pesa il dato culturale perché sia il sistema mediatico che le università ne hanno un’immagine poco attuale e precisa, sottolineando la gravità di ciò proprio perché i media e le università sono i principali strumenti di costruzione della rappresentazione sociale.