“Pochi possono dirsi: “Sono qui”. La gente si cerca nel passato e si vede nel futuro” - Georges Braque
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“Il nostro tempo ritrovato” (Nei giorni del coronavirus)

TEMPOCHESCORRECoronavirus: come sta cambiando la vostra vita? Scriveteci

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Segregati in quarantena, nelle nostre case, mi vengono in mente i personaggi del “Teatro dell’assurdo” del drammaturgo Samuel Beckett , nell’opera “En attendant Godot”. Mi sembra che siamo simili ai suoi protagonisti che, trovandosi in un ambiente vuoto e desolato, attendono invano l’arrivo di un personaggio che possa cambiare la loro esistenza. Cosi provo a paragonare il vivere di questi giorni al “Teatro dell’assurdo”, aspettando che il tempo e la tempesta passino, nell’attesa ansiosa che arrivi un probabile rimedio a tale male. Questa incredibile situazione mi porta a riflettere e rivolgo il mio pensiero alle mille situazioni e abitudini del periodo pre-coronavirus. Proviamo a ricordare in quante occasioni il sostantivo ” Tempo ” è stato funzionale al nostro linguaggio e al nostro agire per regolare i rapporti familiari e sociali. Quante volte abbiamo detto a un nostro interlocutore o a noi stessi : “Non ho tempo ….” , “Magari avessi più tempo….”, “Dammi più tempo….”, ” Il tempo non basta mai….”, “Ho bruciato il mio tempo….”, “Verrà il tempo….”, “Se avessi più tempo, quante cose farei! “E così via. Adesso di tempo ne abbiamo in abbondanza, ne abbiamo tanto da fare indigestione, quasi a nausearci, a provare disagio. E’ sorto, quindi, il problema di come trascorrere le giornate. Cosa facciamo? Ognuno cerca di organizzarsi in varie attività: fare sport, leggere, improvvisarsi cuochi, riordinare la casa, badare ai figli, utilizzare lo smart working, divertirsi con i giochi e altro. La scelta è ampia, ma credo che quella preferita, dalle persone di una certa età, sia di incollarsi in poltrona davanti alla TV con il telecomando in mano. Sì, proprio là, perché l’ansia per la pandemia turba il cervello e lo mette in fibrillazione di fronte all’aumento implacabile dei contagiati e dei morti. Temiamo questo nemico invisibile che ci può colpire in qualsiasi momento. Il telecomando, il mouse o lo smartphone sono le nostre armi d’indagine, di conoscenza e così, passando da un canale all’altro, ascoltiamo o leggiamo le notizie con la speranza che la proiezione del grafico pandemico arresti il suo picco per farci riacquistare un minimo di speranza. Però le immagini degli ammalati intubati, dei camion militari incolonnati che trasportano le salme, ci rendono una realtà macabra e surreale. Allora si cerca di reagire, si fa musica, si canta dai balconi, come se volessimo esorcizzare la mortalità del virus. Nello stesso tempo, tanta gente piange per la perdita dei propri cari. Quelle salme mi fanno pensare alla caducità della vita, alla solitudine della condizione umana nel momento del trapasso, senza avere il conforto di un familiare, d’una carezza o d’una parola. E’ la desolante condizione, descritta in tre versi dal poeta Quasimodo nella poesia “Ed è subito sera “: “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera. L’assordante silenzio delle città, con le strade deserte ci procurano nel cuore “Horror vacui”, il terrore del vuoto, come dicevano i latini. Chi poteva mai immaginare che un invisibile virus potesse mettere in crisi l’uomo del XXI secolo, l’uomo proiettato nel futuro con una irrefrenabile volontà di conoscenza che si può decodificare dal concetto filosofico di Nietzsche nella volontà di potenza. Ecco, quest’uomo, che ha conquistato lo spazio e si credeva a volte onnipotente, adesso è caduto dal cielo sulla terra, in crisi esistenziale, debole e indifeso. Nessun veggente avrebbe potuto prevedere una situazione così inattesa e rivoluzionaria. Questo invisibile nemico ci ha fatto aprire gli occhi e vedere con chiarezza i nostri errori e farci riscoprire i tradizionali valori della famiglia, della comunità solidale e del rispetto dell’ambiente. Certamente, passata la tempesta, dobbiamo essere positivi e attivi perché la vita va avanti, ma è necessario cambiare i paradigmi del nostro agire per costruire un avvenire diverso e migliore per la comunità. Quello che serve, a livello internazionale, è che le varie Nazioni, in particolare le più ricche e potenti, cambino l’assiologia della loro politica. Serve un nuovo umanesimo che metta al centro le esigenze delle persone, la solidarietà e l’inclusione. E’ vergognoso vedere, nell’opulenza delle grandi città, tante persone elemosinare e dormire sui marciapiedi. Per fortuna esistono già tanti esempi di generosità. Una nota di merito va rivolta alle tante associazioni di volontariato e alle mense per i poveri che, in parte, sopperiscono alle deficienze delle strutture statali. Questa pandemia ci ha fatto capire che il Creato si ribella alle nostre nefandezze, che non siamo i padroni di questo pianeta, ma semplici ospiti. Adesso ci sentiamo in gabbia e gridiamo per le limitate libertà, ma il virus è inesorabile e la nostra è una voce nel deserto. Per me restare a casa non è un sacrifico, ma un dovere per tutelare la mia salute e non nuocere a quella degli altri. Trascorro tranquillamente le mie giornate dedicandomi alla lettura, alla comunicare online con parenti e amici e a prendermi cura del giardino di casa. La sera davanti alla TV, che considero l’arena della comunicazione mediatica, osservo i filmati che presentano il lavoro dei medici e degli infermieri che, come novelli gladiatori, lottano per sconfiggere il Covid-19. Noi, i privilegiati che stiamo a casa, li consideriamo i nostri eroi, ma rispondono, con modestia, che compiono il loro dovere. Quel dovere che tutti dovremmo perseguire per rendere migliore la nostra società. Il minimo che possiamo fare è ringraziarli immensamente per la loro abnegazione, poiché rischiano la vita, e tanti sono morti, nel salvare gli ammalati. Ringraziamo, pure, tutte le persone che ci forniscono il necessario e le Forze dell’ordine che garantiscono la nostra sicurezza. Attendiamo con speranza che gli scienziati trovino al più presto un farmaco risolutivo, per poterci riabbracciare e vivere bene “il nostro tempo ritrovato”.

di Pasquale Violi

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