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Al cinema “Citrigno” di Cosenza Salvatore Ficarra presenta “Spaccaossa”, epica tragica di Vincenzo Pirrotta

di Roberta Mazzuca – Un’epica tragica, un film corale, una storia che parte dalla cronaca e immediatamente la trascende, in un racconto che “spacca” cuore, mente, stomaco, e pregiudizi di ogni sorta. È “Spaccaossa”, film di esordio del regista Vincenzo Pirrotta, proiettato ieri al cinema “Citrigno” di Cosenza alla presenza di Salvo Ficarra, co-sceneggiatore e co-produttore della pellicola. Nella periferia di Palermo, “la periferia del mondo” nelle parole del comico, attore, sceneggiatore, e regista siciliano, non esistono vittime né carnefici, ma soltanto uomini e donne che raccontano, in modo crudo e autentico, “il business della disperazione e della sofferenza”.

Lo racconta, ad esempio, Vincenzo, “uomo senza qualità”, che vive a casa con l’anziana madre e recluta “vittime” a cui spaccare ossa in cambio di una percentuale. Una pedina del racket, incapace di ribellarsi e di imporsi, con i “clienti”, che non lo rispettano al punto tale da venir meno agli accordi, con i “colleghi”, che gli soffiano da sotto il naso le possibilità di guadagno, finanche con la stessa madre, cattiva più orrorifica dell’intero film alle cui decisioni non riesce mai ad opporsi. “Rumpa a idda” (“rompi lei”), la frase più agghiacciante e penetrante che la donna rivolge al figlio, chiedendogli di far rompere un braccio alla ragazza appena accolta in casa, Luisa. Una ragazza fragile e sola, che trova in Vincenzo l’unico aiuto, l’unico contatto, l’unica traccia illusoria di una perduta “umanità”.

“Abbiamo scommesso su Vincenzo con questo film, che è sicuramente un film duro, una volta si sarebbe definito un film civile o sociale. Non è certamente un film che vi farà stare comodi sulla sedia, non è un film da intrattenimento cinematografico, che è altrettanto importante. Ricordo che ci fu una signora che mi disse: ‘io sono entrata al cinema perché ho sentito che c’era Ficarra e pensavo di vedere un film comico, e me ne sono andata con un pugno nello stomaco’. Spero lasci anche a voi la stessa sensazione” – afferma Ficarra dal palco, introducendo il pubblico alla visione.

Un’umanità, quella raccontata, che esiste nella sofferenza e nel dramma di ogni personaggio: quelli che spaccano le ossa perché la criminalità è l’unico modo che conoscono per sopravvivere, e quelli che se le lasciano spaccare, perché è l’unico modo a loro concesso di sopravvivere. Come Mimmo, che si lascia rompere una gamba per avere i soldi necessari per poter mantenere moglie e figlia, e che pagherà con la sua stessa vita quella scelta “criminale”. “Simu nuddu miscatu cu nente” (“siamo nessuno mischiato col niente”) dice Vincenzo a Luisa quando, sconvolta dalla richiesta di “farsi rompere”, la ragazza gli domanda il perché di una tale assurda proposta. Persone senza arte né parte, lasciate indietro, ai margini della società, costrette a trovare modi “diversi” di sopravvivere, modi offerti loro dalla stessa società che non li vede e non li vuole.

Già, perché il sistema criminale, quello raccontato nel film e quello reale da cui la storia prende spunto, non potrebbe esistere senza la compiacenza e la collusione dei “veri criminali” di questa associazione: medici, avvocati, periti assicurativi, professionisti ben inseriti e altrettanto corrotti che, forse, sono i veri cattivi, quelli che avrebbero i mezzi per ribellarsi, ma decidono di esserne complici.

Un racconto, quello di Pirrotta, cruento e sanguinoso senza sangue. Ad eccezione della prima scena, in cui si vede chiaramente il trolley carico di pesi precipitare dall’alto di un impalcatura direttamente sul braccio della vittima, nell’intero film il sangue non si vede quasi mai. Ma fluisce rosso e vivido, nello sguardo devastato di chi è disposto a tutto per sopravvivere, nella solitudine e nell’emarginazione di occhi che gridano aiuto, nel disagio di vite distrutte ancor prima di essere fisicamente mutilate: “La vita mi ha già rotto le ossa, adesso ‘pigghiu i picciuli’ (prendo i soldi)” – afferma Luisa, appena prima di accettare la proposta.

Un disagio sociale, dunque, che è il vero protagonista di questo dramma contemporaneo. Un dramma che ci riguarda tutti, e che, dice Ficarra, “non possiamo far finta di non vedere. Il finale, privo di speranza, ci dice che è così che le cose continueranno ad andare se ci giriamo dall’altra parte. Ci dice che quel finale è una parte che manca, è la parte che dobbiamo mettere noi”. Nessuna vittima, nessun carnefice, semplicemente storie di vita a cui ci affezioniamo mentre sullo schermo le osserviamo, perché mettono in mostra non solo l’umanità di persone spesso considerate disumane, ma rimettono in campo la nostra stessa umanità. Ogni giorno, continuamente bombardati da notizie di ogni sorta, ci dimentichiamo di riflettere sui retroscena delle storie che ascoltiamo. Ci dimentichiamo di immaginare un padre di famiglia disposto a tutto, perfino farsi rompere una gamba e un braccio, per festeggiare la comunione della figlia. Ci dimentichiamo di considerare la sofferenza, la disperazione, la totale assenza di alternative di una ragazza rifiutata da tutti, che nella criminalità riesce a vedere prima, e nella morte, poi, la sua unica via d’uscita. Dimentichiamo di valutare le ragioni che spingono uomini comuni, uomini e donne che avremmo potuto essere anche noi, a mutilare un pezzo di se stessi con la sola idea di sopravvivere. Dimentichiamo di meditare su un sistema malato presente nella società, che genera poveri ed emarginati, disperati di cui noi, impauriti e ormai assuefatti, decidiamo con superficialità di giudicare, di ignorare, o di disprezzare.

“Chi sono le vittime e chi sono i carnefici? Non mutiliamo, forse, anche noi, la nostra dignità, ogni volta che scendiamo a compromessi, ogni volta che accettiamo un ricatto, ogni volta che scegliamo di non guardare?”.

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