“A volte bisogna rischiar, fare altre cose. Occorre rinunziare ad alcune garanzie perché sono anche delle condizioni” - Tiziano Terzani
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Botta e risposta “indiretto” fra Antonio Polimeni e Klaus Davi ieri a Milano

Nel pomeriggio di ieri presso il Tribunale di Milano ha avuto luogo la seconda udienza relativa al processo che vede come imputato per diffamazione Klaus Davi. A presiedere l’aula c’era il giudice monocratico Dott.ssa Giulia Maria Messina. Sia Antonio Polimeni, detto “U Troiu” (parte offesa), che Klaus Davi sono stati sentiti dal Pubblico Ministero, dalla parte civile e ovviamente dalla difesa dell’imputato.
«Ho saputo dei post da mio figlio – ha detto tra le altre cose Antonio Polimeni – perché non gestisco un profilo Facebook e non sono presente sui social e ho ritenuto di procedere direttamente con una denuncia di querela senza inoltrare una rettifica a Klaus Davi». Rispetto alla presunta appartenenza al clan Tegano, Polimeni ha dichiarato nel corso dell’esame «non appartengo a nessuna cosca di ‘Ndrangheta. Come lei sa meglio di me, le parentele si acquisiscono. Sono all’oscuro di tutto se qualche parente o zio avesse commesso qualcosa». Polimeni ha anche precisato di essere un imputato che dev’essere ancora giudicato in via definitiva. «Non sono mai stato condannato per associazione», ha tenuto a ribadire. «La sentenza della Cassazione in merito a un procedimento – ha precisato Polimeni – è “tornata indietro”. Ho avuto una condanna per “concorrenza illecita” che risale però al 1996. Klaus Davi l’ho denunciato per cautelarmi poiché non ho mai subito procedimenti per le cose di cui parla nei suoi articoli». Polimeni ha fatto anche più volte esplicito riferimento ai manifesti che Davi aveva affisso a Reggio Calabria attaccando alcuni presunti boss di Archi e del Gebbione, tra cui lo stesso Polimeni nel settembre del 2020.
Klaus Davi ha invece ribadito da parte sua che «i post relativi a Polimeni fanno parte di un’inchiesta giornalistica per la quale hanno presentato querele altri presunti appartenenti al clan Tegano come Gino Molinetti, Demetrio Lo Giudice e lo stesso Polimeni.
In tutti e tre i casi le querele sono state archiviate in vari procedimenti. Nel caso specifico dei manifesti “elettorali” è stato il Gip di Reggio Calabria ad archiviare la querela sporta dallo stesso Polimeni». Klaus Davi ha anche sottolineato di aver vissuto ad Archi dal 2019 al 2021 usufruendo di una casa proprio nello stesso “lotto 23” a pochi metri da dove abita Polimeni: «Siamo stati vicini di casa e ci siamo anche incrociati. La vedo dura, come ha detto lui, che non mi abbia mai incontrato. Sono anche andato a casa sua per chiedere un’intervista e lo feci presente a una sua congiunta. Ho scelto di vivere ad Archi anche per un atto di testimonianza, per una scelta precisa», ha detto Klaus Davi, che ha proseguito: «Non è stata una scelta facile. Comunque ad Archi e non solo non si muove foglia che la cosca Tegano non voglia».
Quanto alle presunte estorsioni denunciate nei suoi articoli raccolte dal clan Tegano e da Polimeni, Davi ha specificato: «Non posso specificare chi me lo ha detto perché scoppierebbe una guerra di mafia. Alcuni “estorti” sono a loro volta appartenenti a gruppi o sottogruppi rivali. Ma non escludo che abbiano già sporto denuncia. Questo non lo posso sapere. Ma fin qui tutto quanto ho raccontato di Archi purtroppo è stato confermato dai fatti. Nel gennaio 2021 parlo di tensioni forti e a giugno ci fu l’attentato a Franco Benestare. Nel 2016 inizia la mia inchiesta su Molinetti che in quell’anno non era neanche sottoposto a misure di prevenzione, cosa per me incredibile, e venne arrestato nel 2020. Tra la denuncia e l’arresto 4 lunghi anni dove dovetti affrontare denunce anche per stalking e persecuzione nei suoi riguardi».
Proprio ad Archi nell’autunno del 2019 ignoti sfondarono la vetrata della sua casa mentre Davi si trovava a Milano. Ad oggi, nonostante i rilievi della scientifica, nulla si sa in merito a mandanti ed esecutori dell’atto vandalico, hanno fatto sapere nei giorni scorsi i legali del giornalista Eugenio Minniti (Foro di Locri) e Sabina Giannetti (Foro di Milano).
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