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Mons. Parisi all’Uniter di Lamezia Terme: “La Bibbia parla all’uomo che abita questa nostra terra di Calabria”

“Che cosa può dire la Bibbia, oggi, all’uomo che abita questa terra di Calabria? Una terra dove ci sono ancora legami e tentacoli che cercano di stringere l’uomo in una morsa per continuare a tenerlo schiavo? La Bibbia indica all’uomo che c’è un “oltre”, che lo libera dalla schiavitù e dalla dipendenza, ed è quell’oltre che l’uomo deve perseguire per non essere più schiavo”.  É uno dei passaggi dell’intervenuto tenuto dal vescovo di Lamezia Terme monsignor Serafino Parisi alla sezione lametina dell’Università della Terza Età, nell’ambito delle attività promosse annualmente dal sodalizio presso la casa del sacerdote.

Soffermandosi in particolare sul capitolo 12 del libro dell’Esodo, in cui si narra la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, il vescovo di Lamezia Terme ha sottolineato come “la nostra terra di Calabria avrebbe bisogno di attualizzare questo testo che è un testo di liberazione: lo schiavo deve liberarsi dal modo di parlare al quale il padrone lo ha abituato. Lo schiavo e il faraone parlano lo stesso linguaggio perché c’è tra di loro un legame di necessità: il faraone ha bisogno degli schiavi e gli schiavi hanno bisogno del faraone per vivere. Dentro un legame di necessità, non si sviluppa la fiducia ma la paura. E noi leggiamo che le espressioni degli Israeliti sono legate alla paura: paura del faraone, di Mosé, anche paura del Signore.  É questo il grande dramma che viviamo nella nostra terra di Calabria e, in generale, nel Sud: spesso preferiamo essere schiavi perché, in fondo, il legame di necessità con il faraone ci deresponsabilizza.  La responsabilità è di chi comanda e io mi limito ad eseguire degli ordini altrimenti mi tolgono i viveri. Il testo biblico dell’Esodo ci spinge a rompere queste catene perché il dramma più grande è quello di vedere lo schiavo che bacia le proprie catene. Mosé, invece, invita ad avere fiducia, a buttare gli occhi e il cuore dall’altra parte del mare, a non guardare più verso il passato ma ad orientare lo sguardo verso il futuro”.

Il passaggio dalla schiavitù alla libertà – ha proseguito monsignor Parisi – “è quello di un popolo che non parla più il linguaggio del faraone, spezza il legame di necessità, perché comprende che l’unico legame che introduce in un contesto di fiducia reciproca è quello della libertà. Certo la libertà dell’uomo è anche un dramma perché, nella libertà, l’uomo è chiamato a decidere, ad affrontare responsabilmente i fatti della vita e le loro conseguenze”.

Il presule si è soffermato su alcuni passaggi fondamentali nell’avvicinarsi al testo biblico, dal percorso storico ai rapporti tra l’Antico e il Nuovo Testamento alle categorie interpretative, parlando della Bibbia come “la testimonianza scritta sulla fede, dei credenti ebrei prima e dei cristiani dopo.  La Bibbia è frutto di un processo di elaborazione lungo e complesso, per noi credenti ispirato dallo Spirito Santo, che va letto attraverso una sana ermeneutica che tenga conto del contesto letterario, storico, politico e culturale del testo. Il suo significato deve essere attualizzato nel presente e deve avere un senso per me, qui ed oggi. In altri termini: scoprire cosa dice la Bibbia e poi scoprire cosa la Bibbia “mi dice” e, in un contesto ecclesiale, cosa “ci dice”.   É un cammino di attualizzazione, affinché possiamo trarre da quei testi un senso da applicare alla nostra esistenza. Perché la Bibbia offre sempre un orientamento per la vita del credente e, anche per i non credenti, rivela verità profonde dell’uomo e dell’esistenza”.

“Vi invito – ha concluso il vescovo di Lamezia – a prendere in mano la Sacra Scrittura, a conoscerne le trame e a fare di quelle trame l’ordito per la nostra esistenza”.

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