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“Processo Carminius Fenice” su ‘ndrangheta in Piemonte: imputato Roberto Rosso cita in aula Domenico Garcea

“Se non fosse tutto drammaticamente vero sembrerebbe una commedia dell’assurdo: io condannato a 5 anni, Domenico Garcea consigliere comunale a Torino”.

Il caso della parentela di Garcea con un presunto boss della ‘Ndrangheta è stato sollevato oggi in Corte d’appello, nel corso del processo Carminius-Fenice, da Roberto Rosso, ex assessore regionale in Piemonte accusato di voto di scambio. Rosso, intervenuto con una dichiarazione spontanea, ha fatto riferimento, senza lanciare accuse al consigliere, alla posizione delle due persone, Franco Viterbo e Onofrio Garcea, (già condannate in un procedimento separato) alle quali avrebbe versato denaro in cambio di un aiuto nella campagna elettorale per le regionali del 2019. Entrambe, per gli inquirenti, sono legate alla ‘Ndrangheta, ma Rosso ha ribadito che all’epoca non lo sapeva e non poteva saperlo.

“Dopo anni di processo – ha detto – ho compreso cos’è il fenomeno della mafia ‘fluida’.

Col senno del poi è facile criticare. Ma la mia percezione, quattro anni fa, non era questa”.

L’ex assessore ha ricordato che Onofrio Garcea è parente di Domenico Garcea, “mio diretto concorrente alle stesse elezioni, che conoscevo perché eravamo cresciuti insieme in Forza Italia”. Quanto a Viterbo, a suo dire gli chiese solo un rimborso spese per la benzina e le ore di lavoro perse mentre si prodigava ad attaccare manifesti e distribuire volantini. “Figuratevi come mi sono sentito – ha sottolineato – quando ho saputo che chiamava la gente a mangiare per me (cene dedicate alla raccolta di contributi elettorali -ndr) e la invitava a votare Garcea. Sembra una commedia dell’assurdo”. Domenico Garcea, che non è indagato né imputato nel procedimento, è stato eletto in consiglio comunale a Torino due anni dopo, nel 2021. Onofrio fu arrestato nell’inchiesta Fenice alla fine del 2019.

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