Al grido di “vita, donna, libertà…no alla violenza!” il corteo promosso dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Catanzaro – in occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza delle donne- è giunto all’Auditorium Casalinuovo da piazza Matteotti per partecipare ad un evento di costruzione di un nuovo percorso culturale che non deve confondersi con un rito che si celebra a cadenza annuale.
Il rischio, quando si parla di violenza, è di ricadere nella banalità: ma il parterre dei relatori (moderati con grande professionalità dalla giornalista Maria Rita Galati) che ha aderito all’iniziativa della presidente della Commissione, Luciana Loprete, ha garantito spunti illuminanti che hanno sopperito alla timidezza degli studenti.
E’ spettato al sindaco Nicola Fiorita, nel suo saluto d’apertura, focalizzare l’attenzione su quella che è l’origine di tutto: la volontà tipica degli uomini di conformarsi alle logiche del dominio e del controllo che la società pretende da loro. Ben si comprende, dunque, come per essere uomini migliori occorra promuovere una cultura differente sin dall’ultimo anno di asilo, perché il binomio “uomo-principe azzurro”, tipico delle favole, non esiste nella realtà, come ha fatto notare Monica Riccio, del Centro Aiuto Donna di Fondazione Città Solidale: “Le donne che si rivolgono al nostro centro antiviolenza si vergognano di dire che sono state picchiate, maltrattate, violentate. Vengono, tornano, non vogliono denunciare: la verità è che è difficile uscire dal ciclo della violenza, anche se si vuole farlo”.
E forse ciò dipende dalla soggezione economica che una donna vive nei confronti del compagno: l’indipendenza economica, infatti, potrebbe affrancare la donna dalla violenza domestica, alla quale sembra rassegnarsi in mancanza di un’altra via d’uscita. Ma le possibilità esistono per chi prova a vederle, ha specificato l’assessora comunale alle Attività Produttive Giuliana Furrer: un esempio viene dai microcrediti di libertà, che si traducono in incentivi per le donne che intendano avviare un’attività imprenditoriale. E poi c’è un organismo comunale, come il CUG (Comitato Unico di Garanzia), che, come ha chiarito Sara Granato, serve a vigilare su eventuali azioni di discriminazione sui luoghi di lavoro ed a promuovere, al contrario, il benessere dei lavoratori. In questa logica vanno anche i protocolli d’intesa siglati dal Consiglio Regionale della Calabria, che, a detta del presidente Filippo Mancuso, hanno portato all’istituzione di un Osservatorio sulla violenza di genere e, grazie all’accordo con l’Aterp, all’affidamento di unità immobiliari a donne vittima di violenza.
E gli studenti? Incalzati più volte dalle domande della presidente Loprete e dalla moderatrice, sono stati messi in guardia dal sostituto procuratore Graziella Viscomi a diffidare delle apparenti attenzioni del “fidanzatino”, che si manifesta col disappunto sul modo di vestirsi o con l’esercizio del controllo sul telefonino: “Tutto questo non è normale e non va giustificato, anzi, è un segnale “spia” di un rapporto malato che sfocerà nell’isolamento della vittima dal contesto familiare ed amicale e, di conseguenza, nella violenza. Non giratevi, quindi, dall’altra parte se notate una certa morbosità nei confronti di un’amica che è vittima inconsapevole di una qualsiasi forma di violenza”.
Dal canto suo, il direttore della Comunità Ministeriale, Massimo Martelli, ha fatto leva sul concetto di violenza intesa come “forza”, di cui non possiamo fare a meno: se incanalata nella giusta direzione, la forza può aiutare a costruire gli “argini” così come si fa con la furia dirompente dell’acqua e del fuoco. E, infine, l’impegno di Romina Ranieri e Stefania Figliuzzi, in rappresentanza dei centri antiviolenza “Mondo Rosa” ed “Attivamente Coinvolte” e di tutte le operatrici sapientemente formate a dare accoglienza alle vittime, perché “voler aiutare non significa saperlo fare”.
Ma ciò che gli studenti ricorderanno tra tutti gli interventi ascoltati saranno senz’altro le testimonianze di chi, a causa di un uomo violento, ha perso una persona cara. Giulia Scalone è la sorella di Loredana, ritrovata esanime il 25 novembre di quattro anni fa sulla scogliera di Pietragrande: “Mia sorella è stata massacrata con ventotto fendenti dal suo compagno, che l’ha poi finita strangolandola. Sul suo corpo martoriato ha cosparso della calce per farlo consumare più in fretta, come se volesse cancellarlo dalla faccia della terra. Alla fine è stato condannato a 25 anni di carcere, meno delle coltellate inferte: mia sorella è stata, così, uccisa per la seconda volta.”
Loredana aveva sottovalutato alcuni campanelli d’allarme, la mamma di Elizabeth Rosanò, invece, non aveva nessuno a cui chiedere aiuto quando il marito, alcolizzato, continuava a picchiarla. “Mia madre aveva provato a scappare, di notte, con noi figli, ma era tornata indietro perché non sapeva a chi rivolgersi. Se ci fosse stato qualcuno a darle una mano, la mia vita avrebbe preso una piega diversa: non avrei visto a sei anni mio padre ucciderla con il fucile, non sarei finita in una casa famiglia, in attesa di essere adottata. I miei genitori adottivi mi hanno consentito di vivere il più possibile una vita normale, di laurearmi in sociologia e di dedicare la mia tesi di laurea a mia madre. Ho anche rivisto mio padre, che oggi è libero e convive con un’altra donna nella casa in cui l’omicidio si è consumato, ma non potrò mai perdonarlo. Ho voluto rincontrarlo solo per maturare il mio dolore ed andare avanti”.